Aldino, il regno delle orchidee

In Italia sono state censite quasi 200 diverse specie di orchidee selvatiche (fonte: Wikipedia), di cui almeno un terzo è presente sul territorio altoatesino; purtroppo sono assenti, o quantomeno rare, le vistose orchidee del genere Ophrys.
C’è però una zona della provincia che è particolarmente ricca di specie ed è quella che parte da Castelrotto e scende lungo la Valle dell’Adige fino a Salorno. Nella zona, caratterizzata da terreni calcarei particolarmente adatti alla maggior parte di orchidee, nei diversi periodi sono stati rilevati esemplari di quasi tutte le specie della provincia. E’ per questo che da due anni la Manifattura Fotografica, associazione fotografica di Bolzano guidata da Massimo Pisetta, organizza uscite nella zona di Aldino con la collaborazione delle guide del Geoparc Bletterbach. Nella zona che circonda il canyon è possibile ammirare tra l’altro anche Ophyrs insectifera, una delle poche del genere presenti sul nostro territorio.

Anche quest’anno, purtroppo, malgrado la disponibilità dell’associazione (di cui non sono socio), ho dovuto rinunciare all’uscita programmata; non volevo però perdermi di nuovo l’occasione e così una settimana più tardi, con le preziose indicazioni di Massimo, io e l’amico Paolo abbiamo svolto lo stesso percorso in autonomia.
Obiettivo principale dell’uscita erano le Traunsteinera globosa, in quanto Ophrys insectifera si trovava in un’altra zona dell’altopiano. Siamo comunque riusciti ad individuare diverse specie, tra cui Gymnadenia conopsea, Listera ovata, Traunsteinera globosa e vari esemplari del genere Dactylorhiza oltre naturalmente ad una grande varietà di fiori di cui la zona è particolarmente ricca.

Al di là dei positivi risultati fotografici, la zona merita davvero dal punto di vista paesaggistico e naturalistico. Ci troviamo infatti in luoghi dove la Natura è ancora preservata, a ridosso del Parco Naturale Monte Corno, e l’aria che “si respira” in questi luoghi e molto diversa da quella delle località turistiche più gettonate. Basti pensare che in tutta la mattinata, lungo il sentiero che attraversava i pascoli, non abbiamo incontrato nessuno pur essendo un caldo fine settimana di giugno.
Ma ecco qualche altra immagine della giornata…


Probabilmente girando di più e conoscendo meglio la zona avremmo potuto trovare altre specie, ma già così ho potuto aggiungerne un paio alla mia personale checklist. Prossimamente aggiungerò gli scatti migliori all’interno dell’apposita galleria.

Fiori ad Aica di Fiè

Due giorni fa mi trovavo al Comune di Tires per lavoro e sapendo che Georg, uno dei dipendenti, è un appassionato naturalista, lunedì gli ho chiesto se per caso conosceva qualche posto dove trovare orchidee in fiore. Con grande cortesia, Georg si è offerto di accompagnarmi; così la mattina del 25 maggio ho caricato in auto anche lo zaino fotografico (oltre a quello dell’ufficio con dentro il laptop) ed intorno alle 17.00, al termine della giornata lavorativa (7 ore di formazione in affiancamento full immersion) ci siamo recati nella vicina Aica di Fiè dove con pochi minuti di cammino abbiamo raggiunto una zona davvero molto ricca di fiori.

Obiettivo principale dell’uscita sarebbero stati alcuni esemplari di Cephalanthera damasonium, orchidea bianca molto bella e simile alla C. longifolia da me fotografata un paio di anni fa a Lana. Ahimè però le infiorescenze che Georg aveva trovato lo scorso venerdì erano ormai già quasi del tutto sfiorite; il caldo degli ultimi giorni le ha purtroppo avuto la meglio su questi fiori delicati. Sorpresa positiva invece la presenza di un esemplare di Platanthera bifolia, altra bella orchidea che avevo già trovato qualche anno fa a San Vigilio di Marebbe. Ecco uno degli scatti a questa orchidea!

Platanthera bifolia

L’uscita ad ogni modo non si è fermata lì, nonostante il parziale insuccesso… Una cosa che mi ha davvero sorpreso è la grande varietà di specie presenti: fiori, ma anche moltissimi insetti che nelle mie uscite non mi era mai capitato di vedere. Con altri 5-10 minuti di cammino siamo arrivati ad una zona paludosa in cui a farla da padroni erano il trifoglio orsino (Menyanthes trifoliata) ed il fior di cuculo (Lychnis flos-cuculi). Qui abbiamo trovato anche alcune piccole piante di Veronica sp. (ahimè Georg mi ha indicato anche la specie, ma non ricordo il nome), particolarmente ostiche da fotografare per via della loro dimensione (l’intera infiorescenza è alta 2-3 cm). Ancora qualche scatto…


Sulla strada del ritorno non è mancato l’incontro con una farfalla podalirio (Iphiclides podalirius), anche se le sue condizioni non erano proprio delle migliori…

1/4 d’ora al lago di Carezza

Recentemente mi sono trovato per lavoro a Nova Levante, un bel paese di circa 2000 abitanti immerso nella Val d’Ega. Forse il nome di questa località non dice molto ai più, anche se tanti la conoscono per la presenza nel territorio comunale del famoso lago di Carezza (Karersee).

Il lago è famoso per i suoi bellissimi colori e per il fatto che sulla sua superficie vi si specchia l’affascinante massiccio del Latemar. Nonostante io abbia tenuto 6 stancanti ore di corso sul software che usa la mia azienda, non potevo non approfittare della situazione e farci un salto. Insieme al mio collega Alberto abbiamo quindi fatto una piccola deviazione ed in pochi minuti eravamo sulla riva del lago. Lo scenario era affascinante, anche se diverso da quanto mi aspettavo: il lago era in buona parte ancora vuoto e anche avvicinandosi all’acqua non era possibile assistere allo spettacolo del Latemar che vi si specchia. Ho voluto comunque portare a casa qualche scatto, tra cui quello seguente che trovate nella galleria “Scorci e paesaggi”…

Lago di Carezza

La visita è durata appena un quarto d’ora, ma non mi farò mancare l’occasione di fotografare questo splendido posto in altre occasioni. Magari una sera d’autunno, quando il bosco assume mille sfumature ed il cielo rosso colora le pareti delle montagne.

Piccole soddisfazioni invernali

Anche se il tempo è sempre poco ed i risultati non sono ancora propriamente quelli sperati, qualche piccola soddisfazione me la sto togliendo. Un po’ grazie all’utilizzo di capanno o auto e con un po’ di fortuna, finalmente quest’inverno sono riuscito ad osservare e fotografare alcune specie che ancora mancavano nel mio archivio….


Le quattro specie in questione sono (nell’ordine delle immagini): martin pescatore (Alcedo atthis), picchio verde (Picus viridis), airone bianco maggiore (Casmerodius albus) e porciglione (Rallus aquaticus). Tutti e quattro questi rappresentanti dell’avifauna non sono facili da fotografare a causa della loro rarità e/o diffidenza; in particolare il porciglione che da queste parti è tutt’altro che semplice da osservare.

La soddisfazione più grande, ad ogni modo, me l’ha data l’airone bianco maggiore. Erano diverse volte che, sia in solitaria che in compagnia di Mirko, mi infilavo per qualche ora nel capanno nella speranza di avere un esemplare di questa specie davanti al mio obiettivo; una mattina ero indeciso sul da farsi ed alla fine ho seguito un consiglio ricevuto su Facebook… e la fortuna quella mattina si è rivelata essere dalla mia parte.
Avevo puntato il tele su uno dei tanti rami degli alberi secchi caduti davanti al capanno e dopo circa 3 ore di attesa l’airone è arrivato e si è posato esattamente dove me lo aspettavo! Ho fatto subito un paio di scatti, ma la messa a fuoco era perfettibile, così come l’inquadratura che era proprio al limite (rischiavo di tagliare la sommità del capo); purtroppo in questi casi la cosa più importante è la pazienza che io, nella foga del “primo contatto”, non ho avuto. E così dopo la prima dozzina di scatti, l’airone si deve essere reso conto che c’era qualcosa di strano e si è spostato di circa 30 metri dalla mia posizione. Ho portato a casa degli scatti piuttosto statici e mi rimprovero il fatto che forse, se fossi stato più paziente, magari avrei ottenuto delle immagini più particolari. Ma non mi posso comunque lamentare!

Per quanto riguarda gli altri esemplari, invece, si tratta di scatti ancora lontani da quello che vorrei ottenere. Ma pian piano…
Il picchio verde è un ritaglio e nell’originale la messa a fuoco non è perfetta; il martin pescatore mi piace per l’ambientazione che fa risaltare la colorazione di questo splendido rappresentante dell’avifauna, ma è ancora un po’ lontano. Merita invece due parole in più il porciglione, che quest’anno ho osservato per la prima volta ed in diverse occasioni; difficilissimo da fotografare sia per la sua diffidenza (è capace di starsene anche un’ora nascosto in mezzo all’erba ai bordi del canale dove l’ho trovato) e sia perché è davvero molto veloce negli spostamenti: a 1/500″ ho fotografie che sono venute vistosamente mosse!
Anche la sfortuna comunque ci ha messo un po’ del suo… mentre fotografavo alcune gallinelle d’acqua (che ho scoperto essere soggetti piuttosto facili), tutto ad un tratto un porciglione si è rivelato ai miei occhi e per qualche istante l’ho avuto perfettamente inquadrato ed in una posa che mi avrebbe permesso di portare a casa un ottimo scatto. E’ venuta a mancare però la prontezza di riflessi e la foto giusta è rimasta solo nelle mie intenzioni. Anche perché subito dopo sono arrivati in auto due birdwatcher trentini (conosciuti sul campo in diverse uscite) e da quel momento il pennuto non s’è più fatto vedere.

Sicuramente proverò di nuovo con questi soggetti. Senza però dimenticare che quest’anno ho un “appuntamento” con il merlo acquaiolo!

Da Plan a malga Lazins

Rientrato in possesso del mio hard disk e delle foto ivi contenute, ho da un po’ ripreso a sistemare le immagini scattate negli ultimi 2-3 mesi. Tra le tante, anche le fotografie realizzate durante una bella uscita in compagnia di Anita, Fabrizio e Max a Malga Lazins attraverso l’omonima valle.
La camminata ha inizio dal parcheggio alle porte del paese di Plan (Pfelders in tedesco), nell’alta Val Passiria, e si snoda lungo la valle di Lazins per circa 8,5 km complessivi tra andata e ritorno, passando per il maso Lazins (1782m) fino alla malga Lazins (1882m). Il percorso è poco faticoso e piacevole, anche se fotograficamente parlando non è stata una delle situazioni migliori in quanto la piccola valle è sovrastata da numerose montagne che, soprattutto in inverno, lasciano poco spazio alla luce del sole.

Arrivati al parcheggio di Plan abbiamo attraversato il paese ed abbiamo seguito la strada situata sulla destra orografica della valle. Quella di Lazins è una valle piccola e poco conosciuta, per certi versi ancora incontaminata, proprio nel cuore del parco naturale del Tessa. In estate è una passeggiata romantica tra i pascoli d’alta montagna, mentre in inverno si trasforma in una lunga pista per lo sci di fondo.

Valle di Lazins

Giunti in cima, la valle si è aperta regalandoci anche un’oretta di sole che ci ha aiutati non poco nei nostri intenti fotografici. Qui abbiamo fatto sosta appunto alla malga Lazins (che in inverno è però chiusa) ed abbiamo poi ripreso il percorso a ritroso per rientrare a Plan quando il sole stava ormai calando.
Non sono mancate le situazioni comiche, come quando io ed Anita abbiamo cercato una scorciatoia per raggiungere gli altri che erano andati avanti ed il sottoscritto è finito nella neve fino al bacino, dato che molto probabilmente sotto i suoi piedi c’era il ruscello…

Sulla strada del ritorno, nei pressi del maso Lazins situato nell’omonima frazione (composta da poche case), le slitte con i cavalli avelignesi riportavano i turisti al paese di Plan.


Alcune delle immagini che ho realizzato in quell’occasione saranno presto contenute nelle gallerie “Forme dell’acqua” e “Paesaggi“.

La “superluna” del 19 marzo

Ieri 19 marzo 2011 la Luna ha raggiunto il perigeo, ovvero il punto della sua orbita in cui la distanza con la Terra è minore, e dopo 18 anni si è mostrata ai nostri occhi circa il 14% più grande del normale. Il fenomeno, abbastanza raro, si dovrebbe comunque ripetere il 12 ottobre di quest’anno.
Purtroppo il cielo era nuvoloso e da Merano non abbiamo potuto godere a pieno di questo effetto ottico, che invece si era visto benissimo venerdì sera quando la luna è sorta da dietro l’altopiano di Avelengo, ma ho comunque scattato questa bella immagine del nostro satellite.

Luna piena

Caffè in cialde… ecologico?

Come ben saprete, ormai da qualche anno le tradizionali moka e, più di recente, anche le macchine da espresso casalinghe sono state largamente sostituite dai sistemi a cialde o capsule. Ce n’è un po’ per tutti i gusti, ma i sistemi che vanno per la maggiore sono senza dubbio Lavazza, Illy e Nespresso. Ci sono poi prodotti più di nicchia, come il caffè Schreyögg (dell’omonima azienda di Parcines, a pochi km da Merano) che ad esempio utilizziamo in ufficio e che però prenderò in considerazione solo in modo marginale…
Questo “nuovo modo” di preparare un caffè ha degli indubbi vantaggi in termini di tempo e pulizia. C’è però il rovescio della medaglia: se una normale confezione di caffè tradizionale era costituita dal solo involucro esterno, ogni capsula/cialda ha ora un certo “peso” in termini di rifiuto generato.
Ma è così per tutte le marche di caffè? In realtà no…

Confezioni e cialda di Lavazza Espresso point

Fino ad ora ho avuto modo di sperimentare tre diverse tipologie di sistemi a capsule/cialde. Il meno ecologico di tutti si è rivelato il sistema Espresso point di Lavazza (foto a lato), destinato prevalentemente ad un utilizzo da ufficio, dove ogni confezione è costituita da due capsule in plastica contenute in una confezione chiusa ermeticamente. Con questo sistema risulta pressoché impossibile separare il caffè dal suo involucro; di conseguenza la quantità di rifiuti prodotti è davvero notevole e peraltro finisce tutto quanto nel normale rifiuto solido urbano in quanto il conferimento di materiale plastico al centro riciclaggio prevede (almeno da noi) che quest’ultimo sia pulito.
Recentemente in ufficio si è deciso di sostituire Lavazza con il caffè Schreyögg e la macchina che utilizziamo ora in ufficio è simile a quella di molti sistemi che sono ora sul mercato: le cialde sono in carta (simili a quella delle bustine per tè) e di conseguenza possono essere smaltite nell’umido organico, ma ognuna di esse è confezionata nella sua confezione ermetica che finisce immancabilmente nell’RSU.

Il sistema che ho scelto per casa, e che ritengo il migliore, è invece quello della Nespresso. Oltre all’innumerevole scelta di caffè (16 diversi aromi di cui 3 decaffeinati) e la qualità delle macchine, Nespresso ha di buono che la confezione è interamente riciclabile: le capsule sono spedite in un imballaggio di cartone contenente le confezioni da 10 capsule realizzate in carta. E’ vero che, una volta usate, molti buttano le capsule nella normale immondizia, ma queste sono fatte di alluminio, riciclabile al 100%, ed il contenuto ovviamente può essere smaltito nell’umido organico o utilizzato come concime per le piante. Basta prendersi la briga ogni 3-4 giorni, come faccio io, di spendere 5 minuti per aprire le capsule, tirar fuori il contenuto e dare una sciacquata per rimuovere il residuo di caffè…

Nestlè a livello mondiale ha avviato anche un programma di raccolta delle capsule usate; purtroppo – come al solito? – in Italia non è al momento possibile prendervi parte. Mi risulta peraltro che alcuni negozi nelle grosse città avessero messo a punto dei piccoli progetti di riciclo delle capsule usate, ma han dovuto desistere in quanto la legge italiana non permette ad aziende non autorizzate di provvedere allo smaltimento di rifiuti.
Ciò nonostante, il sistema Nespresso con un po’ di buona volontà risulta essere al momento il sistema più ecologico e, se quanto indicato sul sito è vero, c’è un impegno da parte dell’azienda ad utilizzare in buona parte (con l’obiettivo dell’80% entro il 2013) solo caffè proveniente da coltivazioni aderenti al programma AAA Susteinable Quality in collaborazione con Rainforest Alliance.

Hard disk rotto? Per fortuna c’è FAsTec!

Un paio di settimane ero a casa con 38° di febbre e per passare il tempo m’ero deciso a mettere finalmente online un po’ di scatti degli ultimi 3-4 mesi, nonché a farne un backup dato che era ormai da novembre che non mettevo al sicuro i miei dati. Accendo il pc, apro Photoshop e… legge di Murphy! Inspiegabilmente l’hard disk che utilizzavo abitualmente per foto e video non era più presente tra le risorse del computer. Panico! 😯
Ho fatto diverse prove, ma il disco di ripartire non ne voleva proprio sapere… l’incubo di ogni fotografo era appena diventato realtà! :dead:
Cosa fare??? Neanche dirlo il resto della giornata l’ho passato nell’assidua ricerca di un modo per recuperare i dati: 4 mesi di fotografie, tra cui anche le uniche foto che abbiamo del primo compleanno di Riccardo!

Le moderne tecnologie permettono ormai un recupero dei dati pressoché totale anche da dischi che hanno subito danni ben più gravi, ma in genere i prezzi per un privato sono proibitivi. Ho cercato su forum e visitato le pagine di parecchie ditte che si occupano di recupero dati, ma la migliore offerta (ho chiesto anche qualche preventivo) era di 750 Euro!
Convinto che si trattasse “solo” di un guasto all’elettronica speravo di riuscire a trovare una soluzione più economica e nella ricerca ho scoperto che il mio HDD Seagate ha un problema di firmware già noto che in determinate condizioni fa saltare l’elettronica del disco.
Ed è così che sono capitato sul sito della ditta FAsTec di Verona che si occupa di assistenza informatica, virtualizzazione e di recupero dati da dischi e memory card.

Il disco incriminato: il Seagate Barracuda 7200.11

A differenza di tutti gli altri, FAsTec conosce molto bene il problema, che a quanto pare affligge due specifici modelli di HDD: il Seagate Barracuda 7200.11 ed il Maxtor DiamondMax 22. E sulla riparazione di questi due modelli di HDD (notare che parliamo di riparazione e non di recupero dati!) FAsTec si è specializzata, al punto di poter offrire un prezzo decisamente concorrenziale rispetto ad altre aziende.
In pratica, come avevo intuito, il guasto è puramente elettronico perché il disco si accende e gira senza produrre alcun rumore inquietante. Dunque, se il problema è quello descritto, si può risparmiare molto rispetto ad un recupero dati in camera bianca… i costi sono decisamente alla portata anche di un privato.
Attenzione però! Si parla esclusivamente dei due modelli di HDD indicati sopra; se andate a visitare le pagine che ho linkato, il problema e la sua soluzione sono spiegati in maniera molto chiara.

Devo dire che finora il servizio offerto da FAsTec mi ha lasciato favorevolmente colpito
Con rinnovata speranza ho compilato il modulo per la richiesta di preventivo e già alle 8.15 del giorno dopo sono stato contattato da uno dei tecnici che mi ha chiesto alcune informazioni preliminari e mi ha dato tutte le indicazioni sul processo di riparazione.
La ditta opera in maniera davvero professionale:

  • il disco viene ritirato a domicilio e rispedito in tutta Italia tramite un corriere di fiducia
  • in ogni fase del processo si viene avvisati tramite SMS o telefono (all’arrivo dell’HDD, a riparazione avvenuta, ecc.)
  • anche la privacy viene garantita, infatti il personale collega il disco ad un pc di laboratorio, fa uno screenshot delle cartelle (senza aprirle) e lo invia al cliente per dimostrare l’avvenuta riparazione prima di chiedere il pagamento del servizio
  • ci sono tempistiche specifiche (a costi diversi) che per il momento sono state ampiamente rispettate

Ebbene… dopo appena una settimana, oggi pomeriggio sono stato contattato telefonicamente dal signor Roberto che mi informava dell’avvenuta riparazione. Che sospiro di sollievo! Ora non mi resta che attendere qualche giorno ed avrò nuovamente in mano il mio HDD con tutti i dati, come se nulla fosse successo.

Dunque se sfortunatamente avete avuto lo stesso problema con dischi Seagate o Maxtor oppure se avete necessità di recuperare dati da dischi e/o memorie danneggiati, non posso che raccomandarvi questo ottimo servizio. Di cialtroni in giro se ne trovano fin troppi e quando qualcuno lavora bene è giusto segnalarlo! 😉
Grazie FAsTec!!

Extended!

Blackbird on snow

L’immagine che ho venduto su iStockphoto (file 8850668)

Ogni tanto una buona notizia!
Oggi dopo aver acceso il PC, il mio iStockWidget (un programmino semplice ma efficace per tenere d’occhio realtime le proprie vendite) è schizzato su di 40$. Motivo? Perché dopo un po’ di tempo, finalmente ho venduto una nuova fotografia con licenza estesa! L’immagine in questione è quella che vedete qui a fianco.

Il merlo è il simbolo nazionale della Svezia. Sarà usato in quest’ambito, dato che è pure sulla neve (che abbonda nel paese scandinavo)? Vediamo un po’ se riesco a trovare qualcosa nei prossimi giorni…

Quando la postproduzione è eccessiva?

Ogni tanto mi sento in obbligo di tornare sull’argomento!
Su moltissimi forum di fotografia, spesso si vedono immagini di grande impatto, con sfondi uniformi ed il soggetto che vi si staglia con nitidezza impressionante. Molto sta nell’abilità del fotografo, non c’è dubbio, ma spesso mi chiedo quanto effettivamente sia stato realizzato in ripresa e quanto invece sapientemente elaborato con Photoshop.

Ho fatto una piccola e veloce prova con una delle mie immagini scattate negli anni passati e questo è il risultato che ho ottenuto.

Fotografia originale

Fotografia elaborata

Non c’è dubbio che la seconda ha un impatto decisamente diverso. Ci sono voluti poco più di 15-20 minuti al computer per ottenere un’immagine “pulita”.
Le operazioni da fare sono tutto sommato piuttosto semplici: prima un crop per ravvicinare il soggetto, poi ho duplicato il livello ed ho sfocato completamente l’immagine; a questo punto ho cancellato la parte sfuocata per far uscire dal livello di sfondo la cinciallegra e il ramo su cui è posata. Ho dato una sistemata ai colori (differenziando il bilanciamento del bianco per livelli) e poi ho unito il tutto.
Il risultato non è perfetto (sotto al ramo si nota un po’ di alone), ma per il tempo che ci ho messo non è nemmeno male.

Ora però mi chiedo: quante delle splendide foto che si vedono nei forum sono fatte in questo modo? E’ corretto inserire nei dati di scatto i tempi, il diaframma, l’obiettivo usato omettendo però l’utilizzo che si è fatto di Photoshop o simili? Nel caso possiamo ancora parlare di fotografia naturalistica? Possiamo ancora parlare di fotografia? :confused:

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