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Fotografia naturalistica di Giorgio Perbellini
La riserva della Feniglia
Esistono in Italia dei luoghi dove la Natura è in pace con l’uomo; la Maremma Toscana è certamente uno di questi luoghi e di essa fa parte anche il Tombolo della Feniglia, una sorta di cordone di sabbia che percorre il lato sud della laguna di Orbetello collegando l’entroterra con il Monte Argentario. Il tombolo, o Duna della Feniglia, si sviluppa per circa 6 km ed è costituito da spiaggia con vegetazione litoranea sul lato sud, da un’imponente foresta di pini nella parte centrale e da una fascia tipicamente lagunare sul lato nord.
Quest’estate ho trascorso con la famiglia una decina di giorni sulla laguna di Orbetello ed ho avuto anche alcune occasioni per trascorrere qualche ora nella riserva. La mia prima visita si è svolta nel corso di un Tour in mountain bike attorno alla laguna, senza fotocamera (avevo solo l’iPhone con me), nel corso del quale non però ho avuto modo di apprezzare a pieno il valore naturalistico della Feniglia.
All’inizio del percorso, dopo poche centinaia di metri venendo dall’Argentario, si trova subito un cartello illustrativo ed un capanno di osservazione dal quale, in realtà, non ho visto praticamente nulla se non alcuni anatidi in lontananza. In compenso ho sentito molto bene le le zanzare (pessima idea andarci nel tardo pomeriggio senza protezione!) e le cicale che, proseguendo con la pedalata, mi si lanciavano letteralmente addosso. Più avanti la cosa si è invece fatta più interessante e lungo la laguna ho notato diversi gruppi di cavalieri d’italia accompagnati da gabbiani ed altri limicoli non meglio identificati.
Ma è solo quando sono arrivato verso l’uscita della riserva che ho assistito ad una scena inaspettata: una signora con la figlia offrivano della frutta ad un gruppo di femmine di daino con i piccoli che si avvicinavano apparentemente senza alcun timore; le due mi hanno poi invitato ad avvicinarmi e fare lo stesso… che emozione!
Qualche giorno dopo, svegliandomi di buonora, ho raggiunto nuovamente la riserva Duna della Feniglia, questa volta in auto e con scopi fotografici; poiché però l’intero percorso si sviluppa appunto su circa 6km ho pensato bene di utilizzare ancora una volta la mia mountain bike per gli spostamenti.
Il sole non era ancora sorto, il cielo era terso e sulla laguna regnava una grande calma. Ho deciso inizialmente di provare un appostamento all’interno del capanno di osservazione dove ho atteso qualche ora (stavolta con dosi abbondanti di Autàn! 😬 ), ma gli unici soggetti che sono riuscito ad osservare e ritrarre sono stati una garzetta che ha trascorso almeno un’ora sulle salicornie, una famiglia di volpoche ed un guardingo porciglione con prole al seguito.
A metà mattina ho deciso di spostarmi lungo la laguna per altre osservazioni. Devo dire che muoversi in bicicletta con lo zaino sulle spalle ed il 300mm imbracciato era tutt’altro che comodo… forse a piedi sarebbe stato più semplice, ma pace. Mi sono fermato più volte per fotografare, anche se un po’ da lontano, alcuni giovani cavalieri d’Italia; e con loro ho visto garzette, aironi, piro piro, un chiurlo ed altri rappresentanti dell’avifauna locale.
Avendo con me la fotocamera oramai l’idea era però quella di raggiungere l’ampia radura in cui si trovavano i daini per fotografarli da vicino; così ho seguito il percorso naturalistico fino alla fine giungendo in loco ancora con una bella luce radente e riuscendo quindi a fare un po’ di scatti agli ungulati che però rimanevano ad una certa distanza.
Anche questa volta erano presenti solo femmine con i cuccioli; i maschi, mi ha detto la ragazza qualche giorno prima, tendono a rimanere nel folto del bosco.
Tutt’altra situazione invece l’ho trovata la sera stessa, quando ho pensato di portare anche mia moglie e mio figlio a vedere i daini ed a provare a dar loro da mangiare.
Acquistata un po’ di frutta nel supermercato del campeggio, intorno alle 18.00 ci siamo diretti verso Ansedonia, parcheggiando questa volta l’auto proprio vicino all’ingresso della riserva dove si trovano i daini. Una delle femmine, non appena visto il sacchetto con il cibo, si è precipitata verso di noi prendendo ben volentieri albicocche ed altra frutta dalle mani di Riccardo, tutto felice per l’incontro!
Non sono certo che sia giusto questo rapporto così “amichevole” tra fauna selvatica ed esseri umani. Fortunatamente in questo luogo meraviglioso gli animali non corrono pericoli e sono protetti, al contrario di altri luoghi dove il foraggiamento ha purtroppo un secondo fine poco felice per gli animali.
Fantasmi nel buio atto 2°
Sono le 4:30 del mattino di sabato quando con Anita ci troviamo per recarci nuovamente nel Parco Nazionale dello Stelvio per quello che sarà probabilmente l’ultimo bramito della stagione. Dopo un’ora di viaggio siamo già all’imbocco del sentiero che speriamo ci porterà al cospetto dei cervi; nell’oscurità più totale, dovuta anche alla luna nuova, illuminando il cammino con una torcia raggiungiamo con fatica il posto prestabilito per l’appostamento.
Io sono fiducioso, mentre Anita, dopo aver ascoltato le parole ed i consigli di Kurt (la guida del parco di cui ho parlato nel post precedente), sembra esserlo meno… teme che il nostro odore possa far scappare i cervi.
Quando comincia il bramito siamo già appostati con i nostri teli mimetici, pur non sapendo esattamente dove ci troviamo a causa del buio. Abbiamo scelto una radura che pensiamo sia abbastanza frequentata per via delle numerose tracce sul terreno e della presenza di escrementi. Dal fondovalle si sentono arrivare forti le voci dei grossi maschi e sappiamo che di lì a poco potrebbero risalire il bosco fino alla nostra posizione.
Prestando attenzione ad ogni minimo rumore, rimaniamo per circa mezz’ora in attesa. D’un tratto Anita si gira verso di me e mi dice di avere il cuore a 1000… un maschio si era appena affacciato a brevissima distanza da noi, giunto come un fantasma nel silenzio più totale! Su quel lato le fronde dell’albero sotto cui ci siamo nascosti mi coprivano la vista, ma il cervo deve averci girato attorno perché dopo un paio di minuti l’ho visto sulla mia destra scendere in mezzo alle ramaglie.
Anita riesce a fare un unico scatto con impostazioni proibitive (6400 ISO a f/2.8), mentre io mi limito a godermi gli istanti di quel nostro primo emozionante incontro ravvicinato. Il click della fotocamera, dovuto al sollevamento dello specchio, purtroppo lo mette in allarme e con alcuni balzi in un attimo si allontana.
Finalmente la notte lascia spazio al giorno. Siamo posizionati in un punto con visibilità abbastanza limitata, ma i sentieri tracciati dagli animali sono ben visibili; se uno di loro dovesse arrivare seguendo quei percorsi avremmo una splendida ambientazione per i nostri scatti. Ad un certo punto, proprio in quella direzione, sentiamo un cervo bramire; poi ancora e ancora… sempre più vicino! Se la fortuna ci assiste arriverà proprio davanti a noi, nel punto dove lo stiamo aspettando.
Si sente il rumore di rami spezzati a terra, poi ecco spuntare le corna; riusciamo a contarne le punte, sono otto. Il cervo però non si vuole far vedere nella sua interezza e ci aggira seguendo una depressione del terreno fino a fermarsi dietro ad alcuni rami a pochi metri da noi. Dopo circa un minuto riprende il suo cammino e ci passa accanto e mettendo un forte e profondo bramito. Un’emozione indescrivibile!
Insieme a lui anche una femmina con cui ha trascorso parecchi minuti (quasi mezz’ora in realtà) all’interno della radura, incurante della nostra presenza. Nonostante non fossero inquadrabili non abbiamo abbandonato la nostra postazione, anche per paura di recare disturbo agli animali.
L’ora del bramito si era conclusa ed i richiami dei cervi hanno lasciato spazio ai rumori provenienti dal paese vicino ed al rombo di auto e moto che transitano sulla strada per il passo dello Stelvio. Anita ed io abbiamo quindi deciso di fare una pausa e fare un piccolo giro esplorativo della zona, con l’intenzione però di tornare alla radura e tentare un nuovo appostamento nel pomeriggio.
Nella nostra camminata abbiamo potuto apprezzare la bellezza di quei boschi ricchi di fauna selvatica… molto diversi da quelli che frequento di solito che, al contrario sono spesso intaccati, a volte profondamente, dalla mano dell’uomo.
Dopo mezzogiorno rientriamo alla “nostra” radura cercando, con il favore della luce del giorno, una posizione che ci permetta di avere una vista il più ampia possibile sull’area prescelta. Il tempo di mangiare un panino e ci rimettiamo sotto i teli, a ridosso (quasi inglobati, per la verità) delle radici di un albero caduto. L’attesa ricomincia… la speranza è che i cervi ritornino a visitare la radura nel pomeriggio prima di recarsi nei prati sottostanti per il pasto notturno.
Un’attesa questa volta lunga ed a tratti snervante; dopotutto sono già parecchie ore che siamo lì e non abbiamo ancora ottenuto i risultati sperati. Teniamo costantemente d’occhio i margini della radura, sperando di scorgere qualche animale. D’un tratto vedo tra i rami di un albero una figura che si muove furtiva… capisco subito di cosa si tratta: una volpe! Guarda nella nostra direzione (siamo visibili perché non completamente coperti dai teli) per oltre mezzo minuto, poi torna nel fitto del bosco. E si ritorna ad aspettare…
Passano le 16, le 17, le 18… la luce comincia a calare, i tempi di scatto si allungano e le speranze di portare a casa un risultato calano in maniera impietosa; comincia anche a scendere una leggera pioggerellina. Ancora 1/4 d’ora e decidiamo, a malincuore, che è giunto il momento di rientrare, prima che faccia completamente buio.
Ci alziamo, riponiamo l’attrezzatura, e dirigendoci verso il sentiero sentiamo “abbaiare”. Sembrerebbe una femmina di capriolo, probabilmente allarmata dalla nostra presenza fino a quel momento passata inosservata. E poco dopo, più in alto, riecco il bramito di un cervo maschio. Ma la sera è calata, le figure nel bosco sono poco più che semplici ombre. E’ il momento di lasciare che la natura faccia il suo corso al riparo dai nostri sguardi indiscreti.
Dopo più di 10 ore di appostamento, doloranti ma comunque felici per l’emozionante giornata, torniamo a passo spedito verso l’auto. Si è fatto buio. Il bramito per quest’anno è finito. Abbiamo fatto esperienza… speriamo di poterla mettere in pratica il prossimo anno!
Fantasmi nel buio
Ore 4.00 del mattino di mercoledì, la sveglia suona e in meno di 20 minuti sono pronto: zaino fotografico, vestiario mimetico, impermeabile. Fuori pioviggina, ma l’appuntamento è troppo importante per rinunciare. Scendo e nel parcheggio c’è Anita con il suo Vito Marco Polo ad attendermi… si parte alla volta della Val Venosta.
Nonostante non ci sia traffico impieghiamo circa 1 ora e mezza ad arrivare a Trafoi, lungo la strada che porta al Passo dello Stelvio all’interno dell’omonimo parco nazionale.
Sono quasi le 6 del mattino… Anita spegne il furgone, apriamo i finestrini ed in silenzio rimaniamo qualche minuto ad ascoltare. Intorno a noi è tutto completamente buio ad eccezione delle luci del paesino e della chiesa che si trova poche decine di metri più avanti. Indossiamo gli scarponi, l’impermeabile, prepariamo l’attrezzatura e silenziosamente ci incamminiamo verso NaturaTrafoi, il centro visite in questa zona del parco.
Mentre percorriamo quel breve tratto di strada si cominciano a sentire le prime grida. Per me è in assoluto la prima volta e non vi è dubbio che se non sapessi di cosa si tratta sarei portato a pensare che sia il lamento di fantasmi che si aggirano nel buio della notte. Sono vicine, molto vicine, ben più di quanto mi aspettassi. La pioggia, che nel frattempo è arrivata anche qui, e la mancanza della luna per il cielo coperto contribuiscono a creare un’atmosfera ancora più spettrale.
Siamo alle porte del centro visite dove ci attende la guida Kurt che poco prima abbiamo visto arrivare con la sua auto. Nella penombra non riesco a distinguere i suoi tratti somatici per via del cappello verde che indossa per ripararsi dalla pioggia; l’unica cosa che riesco a percepire bene sono le mani segnate da anni di lavoro che reggono la prima di molte altre sigarette che fumerà durante il resto della mattinata. Mi presento sottovoce, Anita lo saluta (si sono già conosciuti la settimana prima) ed insieme prestiamo attenzione ai suoni che provengono dal prato… emozionante!
Ci spostiamo dall’altro lato dell’edificio. Kurt estrae un tubo di plastica a forma di cono e con nostra sorpresa inizia ad emettere gli stessi suoni che provengono dal prato. In men che non si dica si instaura un vero e proprio dialogo tra lui ed uno dei maschi dominanti che lentamente si avvicina a noi. Riusciamo quasi a scorgerlo nel buio, ma in breve si allontana e scende al fiume per risalire il pendio lungo il versante opposto, probabilmente seguito dalle femmine.
Questa è la mia primissima esperienza con il bramito del cervo e, nonostante non sia ovviamente riuscito a scattare nessuna foto in quei pochi minuti, non posso descrivere l’emozione che si prova nel sentire quel richiamo profondo che rieccheggia nel bosco.
La luce del giorno comincia a rischiarare il paesaggio nonostante il cielo plumbeo. Le cime del gruppo dell’Ortles sono parzialmente innevate con le nubi che ne lambiscono le pareti. Intorno a noi è calato il silenzio: i pochi suoni che si sentono sono lo scorrere del torrente ed i primi rumori del paese che si risveglia. Non si riesce ancora bene a distinguere il versante opposto della stretta valle, ma i cervi devono essere lì!
Passa ancora del tempo e finalmente la luce rischiara la vista. Osserviamo con attenzione la mugheta di fronte a noi e vediamo spuntare tra gli alberi spunta una prima femmina di cervo. Poco dopo ne individuiamo altre due ed un giovane. Pascolano lì, di fronte a noi seppur a debita distanza, ma stranamente non si vede nessun maschio; forse controlla il suo harem nascosto dietro ad un larice.
Sono quasi le 8 quando un bel maschio robusto si vede comparire brevemente sopra ad un costone. Sparisce quindi tra gli alberi e riappare poi di fronte a noi fermandosi con lo sguardo rivolto nella nostra direzione. Bellissimo!
Si fa ammirare per pochi secondi per poi sparire di nuovo; Anita riesce a scattargli qualche bella foto, mentre io mi mangerò le mani poco dopo perché la mia Canon 7D a 800 ISO non mi consente di avere la qualità di cui avrei bisogno. Senza contare peraltro che a questa sensibilità ISO e con un diaframma aperto a f/4 i tempi sono appena di 1/40″.
Una femmina si affaccia su di una piccola radura poco più a destra… sarà seguita dal maschio? Guardiamo bene attraverso i nostri obiettivi e scorgiamo il palco (o il “trofeo”, come lo chiama Kurt) tra i rami di un albero… eccolo di nuovo. Finalmente riesco a fotografarlo anch’io anche se sembra si diverta a giocare a nascondino.
Il concerto riprende e nuovamente la voce dei grossi maschi dominanti riempie l’aria.
Rimaniamo a Trafoi fino alle 11; Kurt, la guida, è sempre lì a farci compagnia e dimostra il suo incrollabile entusiamo nonostante possa godere di questo spettacolo della natura da moltissimi anni. «Porzelana!», esclama ripetutamente, «Quello è l’8! Ma dove è il 12?» (riferendosi alle punte del palco). E nel frattempo risponde a tutte le nostre domande sulle abitudini dei cervi, sulle loro caratteristiche fisiche, sul modo di avvicinarli, raccontandoci anche alcuni aneddoti di esperienze da lui vissute nel periodo del bramito.
Tirando le somme, al termine della mattinata (quasi sempre accompagnata da una leggera pioggerellina) avevamo visto con buona probabilità tutti i maschi presenti nella zona: 4 o 5, di cui uno molto giovane ancora al di fuori della giostra degli amori ma anche il tanto sospirato “12 punte” che si è fatto vedere proprio quando stavamo per andare via.
Esperienza bellissima, ma la speranza ora è quella di riuscire a fotografarli più da vicino allo stato selvatico (a differenza di molti scatti che, ci conferma lo stesso Kurt, sono fatti nei recinti). Il tempo del bramito si è quasi concluso… nel fine settimana faremo un ultimo tentativo, altrimenti l’appuntamento sarà rimandato al prossimo anno, magari con un pochino di esperienza in più.
La variopinta carovana degli Alpini
Lo scorso 13 maggio la città di Bolzano ha ospitato per la prima volta la variopinta carovana degli Alpini, in occasione dell’85° raduno nazionale. Una grande festa ed una bella occasione fotografica a cui non sono potuto mancare.
Nei giorni che hanno preceduto la sfilata vera e propria, i profili Facebook dei miei amici bolzanini si sono riempiti di immagini goliardiche che mostravano tutta la gioia e l’allegria che si respirava per le vie della città. Sarei voluto essere lì, ma i vari impegni non mi han permesso di scendere a Bolzano durante la settimana. In compenso non volevo assolutamente perdermi la parata, così la mattina di domenica 13 maggio mi sono trovato con Eleonora e Maurizio per raggiungere il capoluogo altoatesino…
Abbiamo preso il pullman di buon’ora; raggiungere Bolzano con l’auto sarebbe stato impossibile perché tutto il traffico è stato chiuso. A differenza di quanto mi sarei aspettato, insieme a noi c’era solo un piccolo gruppo di Alpini con famiglia.
Durante il vaggio il mio pensiero è andato più e più volte a mio nonno: era un alpino, è stato a diversi raduni e questa occasione non se la sarebbe di certo persa. Sentivo quasi di essere lì per lui e questo mi metteva gioia e una grande malinconia allo stesso tempo.
Non ho mai partecipato ad una simile manifestazione, né tantomeno l’ho mai fotografata. Non sapevo bene cosa aspettarmi né come muovermi. Ma una cosa è certa: volevo esserci e cercare di cogliere con l’obiettivo della mia fotocamera non solo l’evento in sé, ma anche alcuni dettagli e sfumature tra le migliaia di persone che vi hanno partecipato. Non sono però sicuro d’esserci riuscito…
La prima cosa che abbiamo notato una volta scesi dal bus navetta è stata l’incredibile partecipazione della città, con bandiere tricolori appese praticamente ovunque. Ma il tempo per guardarsi intorno era poco… la parata stava per cominciare!
E nel punto di “ammassamento” centinaia di Alpini appartenenti a gruppi provenienti da ogni parte del mondo erano già pronti per sfilare: Uruguay, Sud Africa, Perù, Brasile… una moltitudine di persone che ha fatto migliaia di chilometri solo per partecipare a questo evento, uniti da un unico spirito.
La prima ora è stata piuttosto frenetica e concitata; non sapevamo come muoverci, c’era molto da fotografare, pochi erano gli spazi liberi ed eravamo un po’ indietro rispetto alla testa della parata. Per buoni 20 minuti la nostra è stata una vera e propria corsa tra la folla, nel tentativo di raggiungere i primi della fila tra cui anche le autorità locali.
Fortunatamente lungo il percorso abbiamo trovato una buona postazione, comoda e libera da elementi di disturbo, dove ci siamo fermati per assistere alla sfilata. E’ qui che finalmente ho potuto concentrarmi maggiormente sulle persone, sui loro volti: dai ragazzi della mini-naja ai “veci” dalle lunghe barbe; ognuno con la sua storia, ognuno con lo stesso entusiasmo nello sguardo per la partecipazione a questo evento.
Ed è qui anche che mi sarei mangiato le mani per non avere con me un 70-200mm anziché il 24-105. Ma il 70-200 non è un obiettivo che fa parte del mio corredo perché prima d’ora non ne avevo mai evvertito una reale esigenza. In questo caso, però, si sarebbe rivelato molto utile per isolare i soggetti dallo sfondo e cogliere meglio i dettagli; ho dovuto dunque arrangiarmi col 24-105 sul quale, ahimé, non potevo nemmeno montare il moltiplicatore 1.4x che sarebbe stato un bell’aiuto.
Il vero, grande errore della giornata è stato però quello di scordare a casa (più o meno colpevolmente) due schede di memoria rispettivamente da 2 e 4 GB, rimanendo così con soli 4GB (pari a circa 300 scatti) a disposizione. Quindi, una volta esaurito lo spazio sulla compact flash, ho dovuto abbandonare temporaneamente la manifestazione per trovare un negozio aperto dove acquistare una scheda… impresa che si è rivelata pressoché impossibile!
Fortunatamente in mio soccorso è venuto Renzo di Euro Impianti Elettrici, impresa che ha realizzato l’impianto elettrico del condominio in cui mi sono appena trasferito, incontrato causalmente lungo Corso Italia che mi ha permesso di restare nel suo ufficio a scaricare le immagini dalla fotocamera (con istruzioni telefoniche di Luca, legittimo proprietario del pc ) per liberare la scheda e lasciar spazio a nuovi scatti. Ciò nonostante, ahimé, ho perso quasi un’ora e mezza di tempo!
Riunitomi finalmente agli altri abbiamo seguito per un po’ la parata da molto vicino nel suo punto di arrivo, dopodiché ci siamo pian piano diretti verso i prati del Talvera per andare a mettere qualcosa nello stomaco. Nel girare tra i numerorissimi gruppi di Alpini abbiamo colto qualche altro scatto, tra cui i due fantastici “veci” col barbone della sezione torinese dell’A.N.A.
Infine, dopo un succulento quanto pesante panino con salsiccia e cipolla (!), era arrivato il momento di dare un’occhiata al mondo degli alpini in servizio. Sia chiaro: non approvo la guerra, né le missioni di pace supportate dall’intervento militare. Ma un reportage completo della giornata non sarebbe stato completo senza documentare anche questo aspetto… ammiro gli Alpini per il loro impegno sociale, un po’ meno per quello militare.
I prati del Talvera, oltre agli stand gastronomici, ospitavano anche spazi dimostrativi delle Forze Armate italiane, con i propri mezzi (compresi un elicottero ed i famosi mezzi Lince) ed i propri reparti. E’ qui dunque che si è conclusa la mia giornata fotografica.
In realtà ci sarebbe stato ancora molto da vedere: dovevano sfilare ancora i gruppi locali e la serata si sarebbe rivelata un’unica grande festa in tutta Bolzano. Ma il mio tempo lì era finito…
Lasciati Eleonora e Maurizio mi sono diretto a piedi verso la stazione, dove i bus navetta continuavano ad andare e venire trasportando i vari gruppi di Alpini da una parte all’altra della città.
Mentre tornavo verso il pullman per Merano, dal finestrino della navetta osservavo gruppi festanti di persone che invadevano ogni strada, comprese quelle della zona industriale trasformatasi per l’occasione in una sorta di grande campeggio.
Sono felice dell’esperienza vissuta, nonostante i numerosi chilometri percorsi a piedi (molti dei quali in cerca di una scheda per la fotocamera) ed un po’ di rammarico per non aver avuto la possibilità di godermela per tutta la sua durata.
A distanza di oltre 5 mesi ho finalmente trovato il tempo di metter di nuovo mano a quegli scatti. Prima di iniziare il reportage avevo un dubbio: colore o bianco e nero? Ma dopo aver partecipato alla giornata ho preferito mantenere i miei scatti a colori per dare risalto a quella che era, come da titolo di questo post, la variopinta carovana degli Alpini.
Presto nella sezione “Eventi e reportage” troverete una galleria con una selezione delle fotografie scattate quel giorno.
Educazione ambientale
Ogni tanto sentirsi utili per qualcosa fa piacere e se al tempo stesso si può far qualcosa per trasmettere i propri ideali alle nuove generazioni ancora meglio! E’ quanto successo un paio di settimane fa nella scuola per l’infanzia dove lavora mia moglie, dove mi sono offerto per un’oretta di “educazione ambientale“.
Ovviamente con dei bambini così piccoli (dai 3 ai 5 anni) non si possono approfondire chissà quali tematiche, ma è stata l’occasione per mostrare ai bimbi una parte del loro mondo (il giardino della scuola) con l’occhio della macchina fotografica… un occhio in grado di vedere ciò che quello umano non è in grado. Lo scopo era quindi quello di poter osservare, in un secondo momento, ogni minimo dettaglio di insetti, foglie, piante e frutti.
Così per circa un’ora ho girato per il giardino assecondando le loro richieste. Tra i bambini c’era molto entusiasmo ed a farla da padrone erano le cimicette rosso-nere (Pyrrhocoris apterus), che fino a quel momento loro conoscevano esclusivamente come “coccinelle”; con l’aiuto anche dei libri che mi ero portato appresso, hanno imparato a distinguerle dalle vere coccinelle e, una volta rientrati in sezione, su mio invito i bambini hanno disegnato gli insetti con una perizia nei dettagli davvero strabiliante!
Nel corso dell’attività ho scattato anche ai bimbi alcune foto molto carine che documentano il loro interesse, ma per ovvi motivi legati alla privacy non ve le posso mostrare; mi limito dunque ad alcuni scatti dove non si vedono i volti dei bimbi… :click:
E’ stata un’esperienza interessante, forse più dell’incontro con i bambini delle elementari avuto lo scorso anno. La speranza è che questi bambini imparino ad osservare il mondo, a vedere ciò che chi abita in città ha smesso di guardare, a conoscere la Natura ed imparare a rispettarla.
Una tre giorni da dimenticare
Era da un anno aspettavo la “tre giorni del tortolino“… un monitoraggio a livello nazionale, organizzato da EBN Italia, sulla presenza nelle nostre montagne del mitico Charadrius morinellus, meglio conosciuto come piviere tortolino.
Tra le molte specie di uccelli migratori che si fermano nel nostro Paese in questo periodo dell’anno, il tortolino è forse una delle più affascinanti; un po’ per l’eleganza di questo piccolo limicolo, un po’ per l’habitat in cui lo si può osservare che richiama i freddi paesaggi nordici dove trascorre l’estate. Rispetto alla maggior parte dei limicoli, infatti, il tortolino in Italia può essere osservato solo ad alte quote, tra i 2000 e i 2400 metri di altitudine dove i pascoli lasciano lo spazio all’ambiente della tundra.
Insieme all’amico Stefano Andretta, sabato mattina (giorno in cui ho dato la mia disponibilità per il monitoraggio) ci siamo diretti alla volta di Merano 2000, uno dei siti scelti per il monitoraggio dove 7 giorni prima proprio Stefano ha potuto osservare e fotografare 2 esemplari (N.B.: per ovvi motivi l’ubicazione precisa non può essere divulgata).
La giornata però non si è rivelata per positiva… anzi, per molti versi è stata proprio da dimenticare! Da subito le condizioni meteo non sono parse essere buone e, vista dal basso, la zona del monitoraggio era letteralmente immersa nella nebbia. Ma le cose strada facendo sono peggiorate… ben presto siamo stati assaliti da un vento gelido che, unito alla nebbia, ci ha fatto vivere un’atmosfera surreale.
Ma le sorprese, purtroppo, non erano ancora finite. A poco più di 10 minuti dalla nostra meta, forse per la stanchezza della settimana appena trascorsa, forse per l’altitudine, forse per le condizioni meteo particolarmente avverse sono stato colto da un attacco di tachicardia (da almeno 250-300 bpm) durato una decina di minuti. Fortunatamente oramai so di avere questo problema e quindi non mi agito più di tanto quando succede…
Inutile dire che i tortolini sono passati in secondo piano, mentre una volta passato il peggio ci siamo diretti al rifugio più vicino dove io sono rimasto a riposare mentre Stefano raggiungeva il luogo del rilevamento, senza peraltro osservare alcun esemplare di tortolino.
Nel corso della giornata ho scattato qualche foto, ma prevalentemente per documentare il maltempo che ci ha accolti…
A risollevarci il morale, ormai sulla strada del ritorno, il ritrovamento quasi casuale di una buona quantità di finferli (o gallinacci) che sono senza dubbio il fungo che preferisco. Ma la giornata si può dire essere stata tuttaltro che positiva…
Attraversando il bosco, un piccolo contentino fotografico è arrivato da questi bei fiori di cardo illuminati da un sole tenue che nel frattempo si è aperto un varco tra le fitte nubi.
Grazie a…
…tutte le persone che sabato ci sono state vicine e che hanno fatto sì che il nostro matrimonio sia stato un giorno indimenticabile. Grazie a tutti i parenti ed amici che hanno partecipato alla funzione religiosa ed alla festa di nozze (in ordine sparso): mamma Gloria, mamma Teresa, papà Gianni e Roby; alle testimoni Cristina, Ilaria e Sarah; ai nonni Antonietta, Fedora, Vanda e Santo; agli zii Edi, Marlene, Pino e Ugo; ed ancora grazie a Lauretta, Mimma, Monica, Ettore, Renato, alla piccola Alessia, a Chiara, Dalila, Silvia Andrea e Igor; grazie a zia Rosetta, Angela, Paola, Teresa, Daniele, Jürgen, Pino. Grazie poi ad Anna, Assunta, Betta, Daniela, Marta, Monica, Patrizia, Diego, Emanuele, Mao, Matteo e Mirko; ad Angelina, Giovanna, Luciana, Armando, Italo e Marco.
Grazie poi a tutti coloro che sono venuti a vederci nel momento del “sì” e/o al taglio della torta: Adriano, Verena, Laura, Marco, Fabrizio, la Professoressa Maule e suo Marito, Alessia, Annalisa, Ornella, Barbara, Michele, Roberto, Simone e la Signora Flora.
Un ringraziamento di cuore va poi agli 11 musicisti che hanno contribuito a rendere questa giornata davvero speciale: Birgit, Beppe, Erwin, Hubert, Igor, Luca, Omar Paolo, Raffaele, Roland e Stefano.
E poi grazie ancora a tutte le persone che hanno lavorato per noi con grande professionalità, rendendo tutto più semplice di quello che ci aspettavamo: innanzitutto al fotografo Luis Kostner che si è rivelato una persona simpaticissima e che ci ha fatto sentire sempre a nostro agio; all’operatore (Bubi) che ha registrato il video della giornata; alla signora Gerti Schölzhorn di Castel Pienzenau che ha organizzato tutto in maniera eccellente, ai camerieri che sono stati gentilissimi ed ai cuochi che hanno allietato il palato nostro e di tutti gli ospiti.
Grazie poi alla pasticceria Pöhl per la disponibilità e per le splendide ranocchie di marzapane (vedi post precedente) della torta nuziale. Grazie alla fioreria Perkmann per aver soddisfatto tutte le nostre richieste, alla parrucchiera Silke e…
…grazie a tutti quelli che, anche se non presenti (e che non ho nominato), sono intervenuti con messaggi di auguri e regali. GRAZIE DI CUORE!!!
Giorgio e Jenny
Incontro con i ragazzi delle scuole
Se ultimamente le “solite foto” mi danno noia, tutt’altra impressione viene dalla – per così dire – uscita di oggi in compagnia di Paolo: non sul campo, questa volta, ma alla scuola elementare G. Galilei di Merano dove, in veste di soci del Fotoclub Immagine, abbiamo mostrato ai ragazzi le nostre fotografie (dopo averne lasciate alcune per diverso tempo esposte nell’atrio della scuola) e risposto alle loro domande.
Un’esperienza diversa dal solito, ma assolutamente positiva. Sia piccoli che grandi si sono dimostrati interessati al nostro “lavoro” facendo domande sull’aspetto tecnico della fotografia, ma anche su come certe immagini vengono realizzate e sulle caratteristiche di alcuni dei nostri abituali soggetti:
«Come fate a nascondervi per non farvi vedere dagli animali?»
«La volpe sta guardando verso di te perché ti ha visto?»
«Perché fotografando un corvo dalla finestra è venuto il riflesso del flash?»
«I campanellini li hai fotografati in estate?»
«A che distanza eri dalla farfalla per fotografarla?»
«Per fotografare usate lo zoom?»
Questa era una piccola parte delle innumerevoli domande che i bambini hanno fatto, dando non poco lavoro da fare alle maestre. Non sono mancate poi le chicche come quella di un ragazzino che su una mia foto ha detto «Quello è un dittero…» con stupore generale degli adulti presenti in aula… peccato avesse letto il nome del file! Oppure un altro bimbo che, alla fine della mattinata, mi si è avvinato dicendo «Vero che il muso della marmotta sembra quello di un criceto?!» 🙄
Prossimamente qualche foto dell’evento…
Un episodio di qualche anno fa…
Ultimamente su moltissimi blog stanno spopolando i test che dovrebbero servire a raccontare qualcosa di più su chi scrive. Sarei molto tentato di farne uno e, anzi… uno l’avrei anche già compilato. Ma per farvi sapere qualcosa di più su di me, vi racconterò invece un episodio divertente che mi è capitato qualche anno fa, nel marzo 2002.
Era un giorno di fine marzo per la seconda volta nel giro di pochi giorni sono andato al lago di Monticolo per fotografare i rospi che ogni anno si radunano lì a migliaia per la riproduzione. Sdraiato a terra, a pochi centimetri dal loro muso, li fotografavo con passione nella speranza di trovare lo scatto ideale. Mi son passati accanto turisti che mi guardavano male ed anche un avvocato che vedo spesso in tribunale, insieme a suo figlio, che mi ha chiesto se lo facevo per lavoro o per passione (e pensare che ci siamo incrociati decine di volte).
Poi è giunto il momento di rientrare. Ad una certa ora, si sa, in marzo il sole tramonta e fotografare in luce naturale diventa impossibile. Così ho riposto gli obiettivi nello zaino, il cavalletto nella sua borsa e mi sono avviato verso la mia Renault Clio per tornare verso casa. Apro il bagagliaio, mi tolgo e ripongo gli scarponi, metto una scarpa da ginnastica… ops! L’altra scarpa l’avevo buttata davanti. Poco male… chiudo il bagagliaio… ma mentre lo chiudo inorridisco! Non avevo aperto la macchina… solo il bagliaio. E le chiavi? Chiuse dentro, ovviamente!
Panico! Mi guardo intorno, controllo se per caso la macchina è aperta. Nulla. Mi ritrovo lì da solo, senza giacca (solo con il pile) e con una sola scarpa ai piedi. Il lago è isolato… si trova a diversi chilometri dal paese ed a più di 40 da casa. Prendo il telefono dalla tasca per chiamare a casa e farmi venire a prendere. Beep beep beep. Il cellulare si spegne. Il terrore…
Poi per fortuna passa una coppia. Li fermo, spiego al tizio la situazione ridicola in cui mi trovo e mi presta il telefono con cui chiamo a casa (dove partono fragorose risate e un po’ di scazzo per il fatto di dovermi venire a prendere). Ringrazio i miei “salvatori”, poi incomincia l’attesa…
Il sole tramonta, comincia a fare freddo ed io sono lì, in un luogo totalmente isolato, senza giacca e con una sola scarpa, ad attendere l’arrivo della macchina dei miei. Sento gli uccelli che salutano la notte, rumori e fruiscii tutto intorno a me. Poi ad un certo punto qualcosa di inaspettato… assisto alla vera e propria migrazione dei rospi! Sono centinaia… non appena si fa buio vedo questa miriade di anfibi che attraversa goffamente la strada cercando di raggiungere il canneto. Ci sono piccoli maschi, forse alla loro prima migrazione, ed enormi femmine che devono averne già vissute molte. Assisto quasi con commozione a quel momento, dimenticando per un po’ la situazione in cui mi trovo e sperando che i miei ritardino per poter osservare per qualche minuto in più quell’incredibile scena.
L’emozione si trasforma in rabbia quando un’automobile sfreccia sulla strada investendo alcuni animali che restano lì a terra sofferenti. Vedo una femmina con una zampa schiacciata ed un altro rospo moribondo più in là. Poi però un po’ di sollievo vedendo che un’altra auto fa invece zig zag tra le bestiole per non investirle, con una persona davanti che, a piedi, indica al conducente dove passare.
Sono rimasto lì per almeno mezz’ora ad attendere l’arrivo dei miei. E non ho potuto fare a meno di ammirare quello spettacolo che ogni anno si ripete, indirizzando anche alcune bestiole verso la giusta direzione per evitare che finissero sotto le ruote di qualche automobile.
Un episodio che i miei ricorderanno ancora a lungo ridendo, così come la mia ragazza a cui ho raccontato tutto quando son tornato a casa. Io la ricorderò come un’esperienza un po’ ridicola che però mi ha permesso di assistere ad un evento che pochi hanno avuto il privilegio di osservare.
Il capanno
Era tanto tempo che non avevo così tante cose da raccontare! Negli ultimi tempi la mia vita era più che altro casa-lavoro e di quest’ultimo preferisco non parlare più di tanto.
Ma torniamo al presente. Questa mattina ho accompagnato Jenny a Bolzano per un corso d’aggiornamento e ne ho approfittato per andare al Lago di Caldaro a fare qualche foto. Anche in questo caso è stato più che altro un primo approccio con il posto e le foto decenti son ben poche, ma sono comunque contento di com’è andata la mattinata. Avevo già visto girare svassi, folaghe e anatre varie nel porticciolo e quindi, per provare, ho esplorato la zona nei dintorni, senza violare questa volta i divieti d’accesso 🙂
Ad un certo punto ho visto 4-5 aironi volare e scendere di nuovo sulla riva del lago. Purtroppo li ho visti troppo tardi, loro mi ha visto e dopo un attimo di esitazione son scappati. In compenso poco distante da lì ho trovato un capanno di fortuna fatto con rami, teli di iuta (quella dei sacchi di patate, per capirci) e canne poggiate sopra per mimetizzarlo. Dappertutto c’erano piccole feritoie da cui far uscire l’obiettivo della macchina… non so se si tratta di un capanno da caccia (in teoria è improbabile), ma certo è ottimo per fotografare! Da lì, nonostante sia stato solo 2 orette, ho visto da vicino folaghe, svassi, qualche anatra e scattato qualche foto.
Ma la cosa più bella è stata passare quel tempo all’aria aperta: niente rumore di auto, solo il canto degli uccelli e il suono delle onde che battevano sui tronchi immersi nell’acqua. Penso di sapere cosa fare il prossimo lunedì…