uscite fotografiche
Resoconti di uscite fotografiche in solitaria o con amici
Era l’ormai lontano ottobre 2007 quando per la prima volta sarei potuto andare a fare la mia primissima uscita fotografica nella meravigliosa Val Roseg in Engadina (Svizzera). In quell’occasione i miei compagni di viaggio sarebbero dovuti essere Paolo, Fabrizio, Andrea e Maurizio, ma le cose non sono andate come avrebbero dovuto ed alla fine, causa impedimenti personali, ho dovuto abbandonare il gruppo e rimandare la mia visita a data da destinarsi.
Da quel giorno avrei avuto altre possibilità, sia in compagnia di amici che con il Fotoclub Immagine che a suo tempo frequentavo, ma alla fine ho sempre rinunciato.
Da tempo aspettavo quindi l’occasione giusta che per un motivo o per l’altro sembrava non arrivare mai. Ma come scritto un paio di post fa, da poco ho acquistato un Mercedes Vito Marco Polo e come meta per la prima uscita famigliare abbiamo scelto proprio di andare a Pontresina, il paese da cui diparte il sentiero per la bella Val Roseg.
Questo luogo è molto conosciuto, soprattutto tra i fotografi naturalisti, per il “bosco delle cince” e per l’estrema confidenza con l’uomo da parte dei suoi abitanti. Cince sì, ma anche nocciolaie, picchi muratori, scoiattoli ed altri animali che abitano questi boschi.
Il tempo purtroppo non era molto; probabilmente sarebbe stato meglio andarci durante il ponte di Ognissanti, ma il campeggio che avevamo individuato chiudeva di lì a breve e quindi abbiamo optato per partire un sabato mattina di metà ottobre per tornare poi la domenica pomeriggio. Siamo arrivati a Pontresina intorno alle 14.00 e dopo aver parcheggiato il Vito ci siamo subito incamminati verso la Konzertplatz, una radura in mezzo al bosco dove si trova la maggior concentrazione di uccellini e dove già erano presenti diverse famiglie con bambini intente a foraggiare i volatili.
Ho realizzato vari scatti, ma dato il poco tempo a disposizione ho voluto anch’io godermi quel momento, lasciando invece un po’ da parte l’aspetto fotografico: vedere uno, due, tre piccoli esserini che ti si posano sulla mano in cerca di cibo è qualcosa che ti spalanca il cuore 💕e ti fa dimenticare per un attimo lo stress quotidiano.
Per tutti noi è stata una grande emozione: è bastato tirar fuori il sacchetto con i semi per vedersi subito avvicinare da moltissimi uccellini, in particolare cince bigie e cince more, che non si sono fatti alcun problema nell’accettare il cibo dalle mani di sconosciuti, anche se per la prossima volta è il caso di prendere nota delle loro preferenze alimentari: semi di girasole per tutti! 😅
Il sole è purtroppo calato molto presto; nonostante i suoi 1800m di altitudine, la Val Roseg è circondata da monti piuttosto alti che già verso le 16.00 hanno celato il sole, rendendo piuttosto difficile ottenere buoni scatti, anche se qualcosa l’ho comunque portato a casa…
Per le prossima occasione dobbiamo prevedere un fine settimana lungo, partendo il venerdì in modo da avere l’intero sabato a disposizione, non solo per la visita alla Konzerplatz, ma anche per un’escursione lungo la bella valle che per questa volta abbiamo dovuto rimandare.
Avremmo voluto sfruttare la domenica per una passeggiata verso il Roseg Gletscher, ma purtroppo come da previsioni la giornata è stata fredda e piovosa ed abbiamo quindi deciso di ripartire per Merano già in mattinata.
L’Engadina in ogni caso non è solo la Val Roseg. Il paesaggio in questa valle svizzera è ovunque incantevole, persino nel posto che abbiamo scelto per trascorrere la notte. Il camping Morteratsch si trova a circa 5km dal centro di Pontresina lungo la strada che porta al passo del Bernina; si affaccia su due incantevoli laghetti, è attraversato da un tranquillo ruscello e circondato dalla Natura. Non mi stupisce quindi che in questo contesto la notte sia trascorsa accompagnata dal bramito dei cervi e che al nostro risveglio fossimo circondati dagli scoiattoli che venivano a cercare cibo nei pressi delle piazzole.
E per finire assolutamente degna di nota è anche la strada del Passo del Forno che collega l’Engadina alla Val Monastero attraversando in parte il Parco Nazionale Svizzero; in alcuni luoghi il paesaggio ricorda molto le foreste del Nord Europa e non è raro lungo il percorso imbattersi in animali selvatici al pascolo. Sulla strada del ritorno abbiamo infatti avuto la fortuna di imbatterci in diversi gruppetti di camosci, alcuni dei quali piuttosto confidenti che, lasciato il furgone lungo la strada, si sono lasciati avvicinare a piedi per qualche scatto in una bella cornice autunnale.
Arrivederci Engadina, ci rivediamo tra qualche mese!
Esistono in Italia dei luoghi dove la Natura è in pace con l’uomo; la Maremma Toscana è certamente uno di questi luoghi e di essa fa parte anche il Tombolo della Feniglia, una sorta di cordone di sabbia che percorre il lato sud della laguna di Orbetello collegando l’entroterra con il Monte Argentario. Il tombolo, o Duna della Feniglia, si sviluppa per circa 6 km ed è costituito da spiaggia con vegetazione litoranea sul lato sud, da un’imponente foresta di pini nella parte centrale e da una fascia tipicamente lagunare sul lato nord.
Quest’estate ho trascorso con la famiglia una decina di giorni sulla laguna di Orbetello ed ho avuto anche alcune occasioni per trascorrere qualche ora nella riserva. La mia prima visita si è svolta nel corso di un Tour in mountain bike attorno alla laguna, senza fotocamera (avevo solo l’iPhone con me), nel corso del quale non però ho avuto modo di apprezzare a pieno il valore naturalistico della Feniglia.
All’inizio del percorso, dopo poche centinaia di metri venendo dall’Argentario, si trova subito un cartello illustrativo ed un capanno di osservazione dal quale, in realtà, non ho visto praticamente nulla se non alcuni anatidi in lontananza. In compenso ho sentito molto bene le le zanzare (pessima idea andarci nel tardo pomeriggio senza protezione!) e le cicale che, proseguendo con la pedalata, mi si lanciavano letteralmente addosso. Più avanti la cosa si è invece fatta più interessante e lungo la laguna ho notato diversi gruppi di cavalieri d’italia accompagnati da gabbiani ed altri limicoli non meglio identificati.
Ma è solo quando sono arrivato verso l’uscita della riserva che ho assistito ad una scena inaspettata: una signora con la figlia offrivano della frutta ad un gruppo di femmine di daino con i piccoli che si avvicinavano apparentemente senza alcun timore; le due mi hanno poi invitato ad avvicinarmi e fare lo stesso… che emozione!
Qualche giorno dopo, svegliandomi di buonora, ho raggiunto nuovamente la riserva Duna della Feniglia, questa volta in auto e con scopi fotografici; poiché però l’intero percorso si sviluppa appunto su circa 6km ho pensato bene di utilizzare ancora una volta la mia mountain bike per gli spostamenti.
Il sole non era ancora sorto, il cielo era terso e sulla laguna regnava una grande calma. Ho deciso inizialmente di provare un appostamento all’interno del capanno di osservazione dove ho atteso qualche ora (stavolta con dosi abbondanti di Autàn! 😬 ), ma gli unici soggetti che sono riuscito ad osservare e ritrarre sono stati una garzetta che ha trascorso almeno un’ora sulle salicornie, una famiglia di volpoche ed un guardingo porciglione con prole al seguito.
A metà mattina ho deciso di spostarmi lungo la laguna per altre osservazioni. Devo dire che muoversi in bicicletta con lo zaino sulle spalle ed il 300mm imbracciato era tutt’altro che comodo… forse a piedi sarebbe stato più semplice, ma pace. Mi sono fermato più volte per fotografare, anche se un po’ da lontano, alcuni giovani cavalieri d’Italia; e con loro ho visto garzette, aironi, piro piro, un chiurlo ed altri rappresentanti dell’avifauna locale.
Avendo con me la fotocamera oramai l’idea era però quella di raggiungere l’ampia radura in cui si trovavano i daini per fotografarli da vicino; così ho seguito il percorso naturalistico fino alla fine giungendo in loco ancora con una bella luce radente e riuscendo quindi a fare un po’ di scatti agli ungulati che però rimanevano ad una certa distanza.
Anche questa volta erano presenti solo femmine con i cuccioli; i maschi, mi ha detto la ragazza qualche giorno prima, tendono a rimanere nel folto del bosco.
Tutt’altra situazione invece l’ho trovata la sera stessa, quando ho pensato di portare anche mia moglie e mio figlio a vedere i daini ed a provare a dar loro da mangiare.
Acquistata un po’ di frutta nel supermercato del campeggio, intorno alle 18.00 ci siamo diretti verso Ansedonia, parcheggiando questa volta l’auto proprio vicino all’ingresso della riserva dove si trovano i daini. Una delle femmine, non appena visto il sacchetto con il cibo, si è precipitata verso di noi prendendo ben volentieri albicocche ed altra frutta dalle mani di Riccardo, tutto felice per l’incontro!
Non sono certo che sia giusto questo rapporto così “amichevole” tra fauna selvatica ed esseri umani. Fortunatamente in questo luogo meraviglioso gli animali non corrono pericoli e sono protetti, al contrario di altri luoghi dove il foraggiamento ha purtroppo un secondo fine poco felice per gli animali.
Riprendo dopo lungo tempo a scrivere sul mio blog per raccontarvi la mattinata surreale che ho vissuto ieri.
Da alcune settimane nel mio salotto fa bella mostra di sé una fotografia di pulsatilla vernalis; si tratta di una foto del calendario dell’albergo Bad Moos che ci è stato regalato lo scorso anno in occasione della nostra vacanza a Sesto Pusteria. Questa immagine mi ha fatto venire la voglia di tornare a realizzare uno scatto simile.
Il 25 aprile di due anni fa alla fine di aprile, durante un’uscita fotografica in alta Val Passiria in località Ulfas, abbiamo trovato un prato con moltissime pulsatille, ma a causa del cielo grigio molte di esse erano chiuse e non sono riuscito a realizzare lo scatto che avrei voluto. Quello qui sotto, realizzato quel giorno con l’iPhone, è solo un esempio di ciò che ho ottenuto quel giorno.
Dato che ieri il meteo dava sole e visto che nei giorni scorsi è nevicato su tutta la nostra regione, ho pensato di alzare la posta: avrei infatti potuto trovare spunti fotografici interessanti con i fiori circondati o parzialmente coperti dalla neve oltre magari qualche incontro fortuito con la fauna locale.
Così ieri mattina mi sono diretto verso Moso in Passiria e poi in località Ulfas dove ho intrapreso una breve escursione. I prati brulicavano di vita nonostante il freddo quasi anomalo per il periodo (-2° circa).
Arrivato al piccolo parcheggio, però, ho cominciato a pensare che non avrei avuto molte chance di ottenere gli scatti che volevo; già intorno ai 1500m era tutto coperto da buoni 10 cm di neve fresca che, salendo leggermente di quota, sono diventati poi quasi 20 cm. Non ero pronto né tantomeno attrezzato per una situazione del genere e quindi ho deciso di desistere e cambiare meta. Peccato, perché proprio nel momento in cui mi sono fermato ho osservato in lontananza un capriolo che saltellava in mezzo alla neve fresca!
Tornato all’auto mi sono diretto verso la laterale valle di Valtina e quindi verso Passo Giovo. Anche qui però la situazione non era molto diversa; non che mi aspettassi di trovare le pulsatille, ma pensavo di raggiungere comunque il limite della neve per fotografare altri fiori come primule, crocus e farfaracci. Purtroppo intorno ai 1000-1200 metri la stagione è già più avanti, mentre salendo di quota la situazione era nuovamente quella vista nella piccola frazione di Ulfas: diversi centimetri di neve fresca che ricoprivano tutto.
Come tutti sanno, le orchidee sono un fiore che appartiene prevalentemente alla fascia climatica tropicale e subtropicale. Al mondo ne esistono migliaia di specie (complessivamente circa 28.000), ma solo 190 crescono sul territorio italiano e poco più di 1/4 di esse sono state censite sul territorio regionale del Trentino Alto Adige.
Da qualche anno le orchidee spontanee sono diventata una delle mie passioni, tanto che nel 2015 mi sono iscritto al G.I.R.O.S. (Gruppo Italiano Ricerca Orchidee Selvatiche). Per questo motivo anche quest’anno la mia attività fotografica primaverile, concentrata nelle pochissime giornate libere, è stata finora dedicata in particolare a questi fiori.
Quattro in tutto le uscite di cui ben tre ad Aldino, nel Parco Naturale Monte Corno… l’ultima lo scorso sabato mattina.
A 1600 metri di quota la fioritura non è ancora entrata nel vivo, ma un’orchidea in particolare anticipa tutte le altre: si tratta di Dactylorhiza sambucina. Lo scorso anno dopo metà giugno ne rimanevano già poche tracce, perlopiù alcuni esemplari in frutto, quindi quest’anno non volevo assolutamente perdere l’occasione di fotografarle.
Sapendo, grazie a Facebook, che in Lessinia a cavallo tra Trentino e Veneto la fioritura era già entrata nel vivo, ho proposto la prima uscita già all’inizio di maggio; e non mi sono sbagliato poi di molto… Nonostante la temperatura tutt’altro che primaverile e la presenza nel sottobosco di Hepatica nobilis in fiore (peraltro non comune a questa quota), le prime sambucine erano sbocciate. Poche a dire il vero, cresciute tra una moltitudine di primule e genziane, ma è stato un inizio e per me la prima occasione di vederle dal vivo e fotografarle. In compenso la mattinata non è andata propriamente come avrei voluto a causa di un leggero malessere che mi ha accompagnato per quasi tutto il tempo.
La domenica seguente nuova uscita, in compagnia di Anita, Chiara e Andrea. Una giornata decisamente più proficua e con molte più fiori a disposizione da fotografare.
Questa orchidea possiede una grande variabilità nella colorazione; la forma più diffusa, come si vede anche dalla foto di Instagram sopra, è quella gialla anche se spesso è accompagnata da piante con fiori color magenta.
Quello che stavamo cercando era però la rara forma chusae; purtroppo la ricerca non è andata a buon fine… chissà, forse il prossimo anno!
Scrivo in diretta da Avelengo dove sono appostato già da qualche ora sperando di riuscire a fotografare la volpe. L’ho già vista almeno altre due volte qui (una terza penso fossero i suoi occhi a brillare nel buio ma non ne sono certo) e speravo oggi fosse la volta buona.
Circa 20 minuti fa ho sentito quello che, con buona probabilità, dovrebbe essere il suo verso. Cosa che ritengo probabile anche per il gran vociare delle ghiandaie che sembravano essere alquanto agitate. In realtà penso che le volpi fossero addirittura 2 perché il verso proveniva da due diverse direzioni. L’emozione è salita a 1000, tanto che ho mandato entusiasici messaggi a mia moglie e ad Anita che oggi è a dilettarsi con la paesaggistica.
Sentivo quel verso in modo chiaro, vicino, anche se proveniente dal margine del bosco opposto a dove io mi trovo. Scruto l’altro lato del prato con l’obiettivo e ad occhio nudo… ancora non si vede nulla. Poi d’un tratto un rumore che di naturale ha ben poco: è un’auto. Probabilmente il futuro padrone della baita che stanno ricostruendo (incendiatasi qualche anno fa) è venuto a vedere come procedono i lavori. È rimasto poco, forse 5 massimo 10 minuti, sufficienti però ad allontanare per l’ennesima volta l’animale che con pazienza stavo aspettando.
Resto qui ancora un po’, ma l’ottimismo di poco fa è drasticamente sceso. Dubito arriverà qualcosa, anche solo un capriolo. La scorsa domenica non è andata molto diversamente… proprio verso quest’ora una femmina capriolo si accingeva a pascolare nel prato sottostante, quando 3 spari di fucile molto vicini l’hanno messo in fuga.
Oggi se non altro è una bellissima giornata, calda (anche troppo per essere l’8 di novembre) ed ho visto da vicino un astore o uno sparviere che si è infilato nel bosco proprio sopra la mia postazione. Inoltre una cincia bigia è venuta a farmi visita a meno di mezzo metro ed ho sentito distintamente il richiamo del picchio nero. La volpe? È solo questione di tempo!
Ho deciso che il mio prossimo obiettivo sarà la volpe. Mi ha sempre affascinato questo scaltro animale; ed anche se spesso è abituato alla presenza dell’uomo, come testimoniano decine di immagini che ogni giorno vengono pubblicate su forum e social, nei “miei” boschi non mi aspetto di vederla avvicinarsi a pochi metri come accade invece altrove. E’ comunque viva la speranza di riuscire nel mio intento di riprenderla come si deve perlomeno in una bella immagine ambientata.
Stamattina sveglia alle 4.30 (vabbè… con il cambio dell’ora non è stata così tragica) per essere nuovamente in loco prima che facesse giorno. Dopo un breve scambio di parole con un guardiacaccia che credeva fossi lì con altri scopi («Dove sono i fucili?», mi chiedeva), eccomi nuovamente appostato.
L’alba questa mattina è stata emozionante; per oltre mezz’ora il sole che nasceva ha infuocato le nuvole con mille sfumature. Ma non volevo rischiare di uscire per qualche scatto a scapito dell’appostamento.
Fino alle 9.30 è stato un nulla di fatto. Ma mentre stavo lì, nascosto ad ascoltare i rumori intorno a me, ho sentito uno strano verso. Così, visto che non si muoveva nulla, ho deciso di fare un giro per controllare la situazione nei dintorni.
E, come temevo, ecco che nel prato dove l’abbiamo vista la scorsa domenica, la volpe era intenta nella caccia di piccoli roditori.
Il posto dove abbiamo preparato il capanno, sebbene sia molto scenografico, probabilmente è un po’ troppo paludoso e quindi scarso di micromammiferi. Alla fine oggi sono riuscito solo in questo scatto da lontano… vedremo domenica prossima se andrà meglio!
Quella di questa mattina è ormai la quarta uscita di fila che faccio a vuoto dal punto di vista fotografico. Ma so che il tempo a mia disposizione non è molto e anche se i risultati si fanno attendere sono comunque felice delle esperienze vissute nonché dell’esperienza e della sicurezza che sto man mano acquisendo.
Lo scorso fine settimana con Anita siamo stati ad Avelengo, nei pressi di una radura dove questa primavera abbiamo individuato una presunta tana di volpe. Immersi nella nebbia abbiamo atteso e ad un tratto l’abbiamo vista… ma lontana. Così questa mattina ho tentato l’appostamento.
Armato di torcia, poco dopo le 6 del mattino, ho raggiunto un capanno di fortuna costruito la volta scorsa con dei rami secchi trovati nei dintorni, dove poi ho atteso nella speranza di vedere qualche animale.
Purtroppo nel prato sottostante stanno ricostruendo una baita che qualche anno fa era andata in fiamme. Infatti poco dopo il sorgere del sole sono arrivati alcuni operai che con auto, martelli e radio hanno reso vane le mie aspettative.
Ciò comunque nulla toglie alla bellezza del paesaggio autunnale in cui ero immerso, che ha mostrato i suoi caldi colori ai primi raggi del sole. Ecco la scena che mi sono trovato davanti, fotografata con l’iPhone ed elaborata con Instagram.
Sono le 4:30 del mattino di sabato quando con Anita ci troviamo per recarci nuovamente nel Parco Nazionale dello Stelvio per quello che sarà probabilmente l’ultimo bramito della stagione. Dopo un’ora di viaggio siamo già all’imbocco del sentiero che speriamo ci porterà al cospetto dei cervi; nell’oscurità più totale, dovuta anche alla luna nuova, illuminando il cammino con una torcia raggiungiamo con fatica il posto prestabilito per l’appostamento.
Io sono fiducioso, mentre Anita, dopo aver ascoltato le parole ed i consigli di Kurt (la guida del parco di cui ho parlato nel post precedente), sembra esserlo meno… teme che il nostro odore possa far scappare i cervi.
Quando comincia il bramito siamo già appostati con i nostri teli mimetici, pur non sapendo esattamente dove ci troviamo a causa del buio. Abbiamo scelto una radura che pensiamo sia abbastanza frequentata per via delle numerose tracce sul terreno e della presenza di escrementi. Dal fondovalle si sentono arrivare forti le voci dei grossi maschi e sappiamo che di lì a poco potrebbero risalire il bosco fino alla nostra posizione.
Prestando attenzione ad ogni minimo rumore, rimaniamo per circa mezz’ora in attesa. D’un tratto Anita si gira verso di me e mi dice di avere il cuore a 1000… un maschio si era appena affacciato a brevissima distanza da noi, giunto come un fantasma nel silenzio più totale! Su quel lato le fronde dell’albero sotto cui ci siamo nascosti mi coprivano la vista, ma il cervo deve averci girato attorno perché dopo un paio di minuti l’ho visto sulla mia destra scendere in mezzo alle ramaglie.
Anita riesce a fare un unico scatto con impostazioni proibitive (6400 ISO a f/2.8), mentre io mi limito a godermi gli istanti di quel nostro primo emozionante incontro ravvicinato. Il click della fotocamera, dovuto al sollevamento dello specchio, purtroppo lo mette in allarme e con alcuni balzi in un attimo si allontana.
Finalmente la notte lascia spazio al giorno. Siamo posizionati in un punto con visibilità abbastanza limitata, ma i sentieri tracciati dagli animali sono ben visibili; se uno di loro dovesse arrivare seguendo quei percorsi avremmo una splendida ambientazione per i nostri scatti. Ad un certo punto, proprio in quella direzione, sentiamo un cervo bramire; poi ancora e ancora… sempre più vicino! Se la fortuna ci assiste arriverà proprio davanti a noi, nel punto dove lo stiamo aspettando.
Si sente il rumore di rami spezzati a terra, poi ecco spuntare le corna; riusciamo a contarne le punte, sono otto. Il cervo però non si vuole far vedere nella sua interezza e ci aggira seguendo una depressione del terreno fino a fermarsi dietro ad alcuni rami a pochi metri da noi. Dopo circa un minuto riprende il suo cammino e ci passa accanto e mettendo un forte e profondo bramito. Un’emozione indescrivibile!
Insieme a lui anche una femmina con cui ha trascorso parecchi minuti (quasi mezz’ora in realtà) all’interno della radura, incurante della nostra presenza. Nonostante non fossero inquadrabili non abbiamo abbandonato la nostra postazione, anche per paura di recare disturbo agli animali.
L’ora del bramito si era conclusa ed i richiami dei cervi hanno lasciato spazio ai rumori provenienti dal paese vicino ed al rombo di auto e moto che transitano sulla strada per il passo dello Stelvio. Anita ed io abbiamo quindi deciso di fare una pausa e fare un piccolo giro esplorativo della zona, con l’intenzione però di tornare alla radura e tentare un nuovo appostamento nel pomeriggio.
Nella nostra camminata abbiamo potuto apprezzare la bellezza di quei boschi ricchi di fauna selvatica… molto diversi da quelli che frequento di solito che, al contrario sono spesso intaccati, a volte profondamente, dalla mano dell’uomo.
Dopo mezzogiorno rientriamo alla “nostra” radura cercando, con il favore della luce del giorno, una posizione che ci permetta di avere una vista il più ampia possibile sull’area prescelta. Il tempo di mangiare un panino e ci rimettiamo sotto i teli, a ridosso (quasi inglobati, per la verità) delle radici di un albero caduto. L’attesa ricomincia… la speranza è che i cervi ritornino a visitare la radura nel pomeriggio prima di recarsi nei prati sottostanti per il pasto notturno.
Un’attesa questa volta lunga ed a tratti snervante; dopotutto sono già parecchie ore che siamo lì e non abbiamo ancora ottenuto i risultati sperati. Teniamo costantemente d’occhio i margini della radura, sperando di scorgere qualche animale. D’un tratto vedo tra i rami di un albero una figura che si muove furtiva… capisco subito di cosa si tratta: una volpe! Guarda nella nostra direzione (siamo visibili perché non completamente coperti dai teli) per oltre mezzo minuto, poi torna nel fitto del bosco. E si ritorna ad aspettare…
Passano le 16, le 17, le 18… la luce comincia a calare, i tempi di scatto si allungano e le speranze di portare a casa un risultato calano in maniera impietosa; comincia anche a scendere una leggera pioggerellina. Ancora 1/4 d’ora e decidiamo, a malincuore, che è giunto il momento di rientrare, prima che faccia completamente buio.
Ci alziamo, riponiamo l’attrezzatura, e dirigendoci verso il sentiero sentiamo “abbaiare”. Sembrerebbe una femmina di capriolo, probabilmente allarmata dalla nostra presenza fino a quel momento passata inosservata. E poco dopo, più in alto, riecco il bramito di un cervo maschio. Ma la sera è calata, le figure nel bosco sono poco più che semplici ombre. E’ il momento di lasciare che la natura faccia il suo corso al riparo dai nostri sguardi indiscreti.
Dopo più di 10 ore di appostamento, doloranti ma comunque felici per l’emozionante giornata, torniamo a passo spedito verso l’auto. Si è fatto buio. Il bramito per quest’anno è finito. Abbiamo fatto esperienza… speriamo di poterla mettere in pratica il prossimo anno!
Ore 4.00 del mattino di mercoledì, la sveglia suona e in meno di 20 minuti sono pronto: zaino fotografico, vestiario mimetico, impermeabile. Fuori pioviggina, ma l’appuntamento è troppo importante per rinunciare. Scendo e nel parcheggio c’è Anita con il suo Vito Marco Polo ad attendermi… si parte alla volta della Val Venosta.
Nonostante non ci sia traffico impieghiamo circa 1 ora e mezza ad arrivare a Trafoi, lungo la strada che porta al Passo dello Stelvio all’interno dell’omonimo parco nazionale.
Sono quasi le 6 del mattino… Anita spegne il furgone, apriamo i finestrini ed in silenzio rimaniamo qualche minuto ad ascoltare. Intorno a noi è tutto completamente buio ad eccezione delle luci del paesino e della chiesa che si trova poche decine di metri più avanti. Indossiamo gli scarponi, l’impermeabile, prepariamo l’attrezzatura e silenziosamente ci incamminiamo verso NaturaTrafoi, il centro visite in questa zona del parco.
Mentre percorriamo quel breve tratto di strada si cominciano a sentire le prime grida. Per me è in assoluto la prima volta e non vi è dubbio che se non sapessi di cosa si tratta sarei portato a pensare che sia il lamento di fantasmi che si aggirano nel buio della notte. Sono vicine, molto vicine, ben più di quanto mi aspettassi. La pioggia, che nel frattempo è arrivata anche qui, e la mancanza della luna per il cielo coperto contribuiscono a creare un’atmosfera ancora più spettrale.
Siamo alle porte del centro visite dove ci attende la guida Kurt che poco prima abbiamo visto arrivare con la sua auto. Nella penombra non riesco a distinguere i suoi tratti somatici per via del cappello verde che indossa per ripararsi dalla pioggia; l’unica cosa che riesco a percepire bene sono le mani segnate da anni di lavoro che reggono la prima di molte altre sigarette che fumerà durante il resto della mattinata. Mi presento sottovoce, Anita lo saluta (si sono già conosciuti la settimana prima) ed insieme prestiamo attenzione ai suoni che provengono dal prato… emozionante!
Ci spostiamo dall’altro lato dell’edificio. Kurt estrae un tubo di plastica a forma di cono e con nostra sorpresa inizia ad emettere gli stessi suoni che provengono dal prato. In men che non si dica si instaura un vero e proprio dialogo tra lui ed uno dei maschi dominanti che lentamente si avvicina a noi. Riusciamo quasi a scorgerlo nel buio, ma in breve si allontana e scende al fiume per risalire il pendio lungo il versante opposto, probabilmente seguito dalle femmine.
Questa è la mia primissima esperienza con il bramito del cervo e, nonostante non sia ovviamente riuscito a scattare nessuna foto in quei pochi minuti, non posso descrivere l’emozione che si prova nel sentire quel richiamo profondo che rieccheggia nel bosco.
La luce del giorno comincia a rischiarare il paesaggio nonostante il cielo plumbeo. Le cime del gruppo dell’Ortles sono parzialmente innevate con le nubi che ne lambiscono le pareti. Intorno a noi è calato il silenzio: i pochi suoni che si sentono sono lo scorrere del torrente ed i primi rumori del paese che si risveglia. Non si riesce ancora bene a distinguere il versante opposto della stretta valle, ma i cervi devono essere lì!
Passa ancora del tempo e finalmente la luce rischiara la vista. Osserviamo con attenzione la mugheta di fronte a noi e vediamo spuntare tra gli alberi spunta una prima femmina di cervo. Poco dopo ne individuiamo altre due ed un giovane. Pascolano lì, di fronte a noi seppur a debita distanza, ma stranamente non si vede nessun maschio; forse controlla il suo harem nascosto dietro ad un larice.
Sono quasi le 8 quando un bel maschio robusto si vede comparire brevemente sopra ad un costone. Sparisce quindi tra gli alberi e riappare poi di fronte a noi fermandosi con lo sguardo rivolto nella nostra direzione. Bellissimo!
Si fa ammirare per pochi secondi per poi sparire di nuovo; Anita riesce a scattargli qualche bella foto, mentre io mi mangerò le mani poco dopo perché la mia Canon 7D a 800 ISO non mi consente di avere la qualità di cui avrei bisogno. Senza contare peraltro che a questa sensibilità ISO e con un diaframma aperto a f/4 i tempi sono appena di 1/40″.
Una femmina si affaccia su di una piccola radura poco più a destra… sarà seguita dal maschio? Guardiamo bene attraverso i nostri obiettivi e scorgiamo il palco (o il “trofeo”, come lo chiama Kurt) tra i rami di un albero… eccolo di nuovo. Finalmente riesco a fotografarlo anch’io anche se sembra si diverta a giocare a nascondino.
Il concerto riprende e nuovamente la voce dei grossi maschi dominanti riempie l’aria.
Rimaniamo a Trafoi fino alle 11; Kurt, la guida, è sempre lì a farci compagnia e dimostra il suo incrollabile entusiamo nonostante possa godere di questo spettacolo della natura da moltissimi anni. «Porzelana!», esclama ripetutamente, «Quello è l’8! Ma dove è il 12?» (riferendosi alle punte del palco). E nel frattempo risponde a tutte le nostre domande sulle abitudini dei cervi, sulle loro caratteristiche fisiche, sul modo di avvicinarli, raccontandoci anche alcuni aneddoti di esperienze da lui vissute nel periodo del bramito.
Tirando le somme, al termine della mattinata (quasi sempre accompagnata da una leggera pioggerellina) avevamo visto con buona probabilità tutti i maschi presenti nella zona: 4 o 5, di cui uno molto giovane ancora al di fuori della giostra degli amori ma anche il tanto sospirato “12 punte” che si è fatto vedere proprio quando stavamo per andare via.
Esperienza bellissima, ma la speranza ora è quella di riuscire a fotografarli più da vicino allo stato selvatico (a differenza di molti scatti che, ci conferma lo stesso Kurt, sono fatti nei recinti). Il tempo del bramito si è quasi concluso… nel fine settimana faremo un ultimo tentativo, altrimenti l’appuntamento sarà rimandato al prossimo anno, magari con un pochino di esperienza in più.
Finito il tempo dei giri in mountain bike, con l’arrivo dell’autunno ricominciano le uscite fotografiche. Per il momento due giornate davvero fortunate, una nei primi giorni di settembre (di cui parlerò separatamente) ed una lo scorso 20 settembre nella meravigliosa Val Senales.
Una breve ma a tratti impegnativa camminata lungo i sentieri nei dintorni del lago di Vernago ha portato me ed Anita ad incontrare diverse specie di animali, alcuni osservati molte altre volte, mentre altri decisamente più inusuali.
Il primo avvistamento è stato quello di alcune femmine di capriolo al pascolo, seguite da diversi scoiattoli bruni che sembrano essere molto comuni nella zona. L’intera mattinata è stata accompagnata dal cinguettio di cince ed altri uccelli del bosco oltre che dai voli e dal gracchiare delle nocciolaie praticamente onnipresenti ad ogni nostro passo.
Senza dubbio però la sorpresa più grande della giornata è stata l’incontro con il picchio tridattilo (Picoides tridactylus), volatile piuttosto confidente nei confronti dell’uomo ma poco comune ed estremamente localizzato. Forse ci saremmo potuti avvicinare maggiormente, ma qualche scatto carino ed un breve video siamo riusciti a farlo comunque.
E’ stato interessante osservare il picchio, anche se la nostra posizione non ha di certo reso semplice la ripresa fotografica a causa dello sfondo illuminato dal primo sole su cui si stagliava il tronco da lui prescelto per la colazione. Ma la mattinata era ancora lunga ed altri incontri ci attendevano…
Fin da piccolo sono sempre stato affascinato dalla fauna alpina, ma nonostante io abbia passato in montagna tutte le estati della mia infanzia gli incontri con essa sono sempre stati abbastanza sporadici e fortuiti. Negli anni recenti, caratterizzati dalla passione per la fotografia naturalistica, le cose non sono andate tanto diversamente: camosci, aquile, lepri, volpi sono animali che ho visto, ma sempre da distanze tali da non poterne apprezzare i dettagli.
L’incontro in cui speravo maggiormente fin dalla partenza era quello con i camosci, uno dei simboli dell’ambiente montano. Non ho dovuto attendere molto… il desiderio si è avverato quando Anita ne ha avvistato uno a breve distanza!
Questo bell’esemplare ci ha lasciato giusto il tempo per qualche scatto per poi dileguarsi sul ripido pendio.
Ora, pensandoci, probabilmente mi sarei dovuto godere di più quel momento così a lungo atteso, ma d’altronde se non avessi speso quel tempo per scattare me ne sarei comunque pentito. La speranza, naturalmente, è che a questo primo incontro ravvicinato ne seguano altri nel futuro.
Prossimo obiettivo: i cervi con i loro imponenti palchi :asd:
Al termine della mattinata, trascorsa per lo più a praticare “caccia fotografica” (benché il termine non sia quello che preferisco per questo tipo di attività), la voglia di scattare non era ancora finita. Così, abbandonate in auto le cose inutili, abbiamo preso un altro sentiero per raggiungere quota 2000m e dedicarci un po’ alla fotografia di paesaggio.
Il nostro soggetto preferito? Un larice solitario, ultimo baluardo del bosco a quella altitudine.