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Fotografia naturalistica di Giorgio Perbellini
Due passi in Val Roseg
Era l’ormai lontano ottobre 2007 quando per la prima volta sarei potuto andare a fare la mia primissima uscita fotografica nella meravigliosa Val Roseg in Engadina (Svizzera). In quell’occasione i miei compagni di viaggio sarebbero dovuti essere Paolo, Fabrizio, Andrea e Maurizio, ma le cose non sono andate come avrebbero dovuto ed alla fine, causa impedimenti personali, ho dovuto abbandonare il gruppo e rimandare la mia visita a data da destinarsi.
Da quel giorno avrei avuto altre possibilità, sia in compagnia di amici che con il Fotoclub Immagine che a suo tempo frequentavo, ma alla fine ho sempre rinunciato.
Da tempo aspettavo quindi l’occasione giusta che per un motivo o per l’altro sembrava non arrivare mai. Ma come scritto un paio di post fa, da poco ho acquistato un Mercedes Vito Marco Polo e come meta per la prima uscita famigliare abbiamo scelto proprio di andare a Pontresina, il paese da cui diparte il sentiero per la bella Val Roseg.
Questo luogo è molto conosciuto, soprattutto tra i fotografi naturalisti, per il “bosco delle cince” e per l’estrema confidenza con l’uomo da parte dei suoi abitanti. Cince sì, ma anche nocciolaie, picchi muratori, scoiattoli ed altri animali che abitano questi boschi.
Il tempo purtroppo non era molto; probabilmente sarebbe stato meglio andarci durante il ponte di Ognissanti, ma il campeggio che avevamo individuato chiudeva di lì a breve e quindi abbiamo optato per partire un sabato mattina di metà ottobre per tornare poi la domenica pomeriggio. Siamo arrivati a Pontresina intorno alle 14.00 e dopo aver parcheggiato il Vito ci siamo subito incamminati verso la Konzertplatz, una radura in mezzo al bosco dove si trova la maggior concentrazione di uccellini e dove già erano presenti diverse famiglie con bambini intente a foraggiare i volatili.
Ho realizzato vari scatti, ma dato il poco tempo a disposizione ho voluto anch’io godermi quel momento, lasciando invece un po’ da parte l’aspetto fotografico: vedere uno, due, tre piccoli esserini che ti si posano sulla mano in cerca di cibo è qualcosa che ti spalanca il cuore 💕e ti fa dimenticare per un attimo lo stress quotidiano.
Per tutti noi è stata una grande emozione: è bastato tirar fuori il sacchetto con i semi per vedersi subito avvicinare da moltissimi uccellini, in particolare cince bigie e cince more, che non si sono fatti alcun problema nell’accettare il cibo dalle mani di sconosciuti, anche se per la prossima volta è il caso di prendere nota delle loro preferenze alimentari: semi di girasole per tutti! 😅
Il sole è purtroppo calato molto presto; nonostante i suoi 1800m di altitudine, la Val Roseg è circondata da monti piuttosto alti che già verso le 16.00 hanno celato il sole, rendendo piuttosto difficile ottenere buoni scatti, anche se qualcosa l’ho comunque portato a casa…
Per le prossima occasione dobbiamo prevedere un fine settimana lungo, partendo il venerdì in modo da avere l’intero sabato a disposizione, non solo per la visita alla Konzerplatz, ma anche per un’escursione lungo la bella valle che per questa volta abbiamo dovuto rimandare.
Avremmo voluto sfruttare la domenica per una passeggiata verso il Roseg Gletscher, ma purtroppo come da previsioni la giornata è stata fredda e piovosa ed abbiamo quindi deciso di ripartire per Merano già in mattinata.
L’Engadina in ogni caso non è solo la Val Roseg. Il paesaggio in questa valle svizzera è ovunque incantevole, persino nel posto che abbiamo scelto per trascorrere la notte. Il camping Morteratsch si trova a circa 5km dal centro di Pontresina lungo la strada che porta al passo del Bernina; si affaccia su due incantevoli laghetti, è attraversato da un tranquillo ruscello e circondato dalla Natura. Non mi stupisce quindi che in questo contesto la notte sia trascorsa accompagnata dal bramito dei cervi e che al nostro risveglio fossimo circondati dagli scoiattoli che venivano a cercare cibo nei pressi delle piazzole.
E per finire assolutamente degna di nota è anche la strada del Passo del Forno che collega l’Engadina alla Val Monastero attraversando in parte il Parco Nazionale Svizzero; in alcuni luoghi il paesaggio ricorda molto le foreste del Nord Europa e non è raro lungo il percorso imbattersi in animali selvatici al pascolo. Sulla strada del ritorno abbiamo infatti avuto la fortuna di imbatterci in diversi gruppetti di camosci, alcuni dei quali piuttosto confidenti che, lasciato il furgone lungo la strada, si sono lasciati avvicinare a piedi per qualche scatto in una bella cornice autunnale.
Arrivederci Engadina, ci rivediamo tra qualche mese!
Fantasmi nel buio atto 2°
Sono le 4:30 del mattino di sabato quando con Anita ci troviamo per recarci nuovamente nel Parco Nazionale dello Stelvio per quello che sarà probabilmente l’ultimo bramito della stagione. Dopo un’ora di viaggio siamo già all’imbocco del sentiero che speriamo ci porterà al cospetto dei cervi; nell’oscurità più totale, dovuta anche alla luna nuova, illuminando il cammino con una torcia raggiungiamo con fatica il posto prestabilito per l’appostamento.
Io sono fiducioso, mentre Anita, dopo aver ascoltato le parole ed i consigli di Kurt (la guida del parco di cui ho parlato nel post precedente), sembra esserlo meno… teme che il nostro odore possa far scappare i cervi.
Quando comincia il bramito siamo già appostati con i nostri teli mimetici, pur non sapendo esattamente dove ci troviamo a causa del buio. Abbiamo scelto una radura che pensiamo sia abbastanza frequentata per via delle numerose tracce sul terreno e della presenza di escrementi. Dal fondovalle si sentono arrivare forti le voci dei grossi maschi e sappiamo che di lì a poco potrebbero risalire il bosco fino alla nostra posizione.
Prestando attenzione ad ogni minimo rumore, rimaniamo per circa mezz’ora in attesa. D’un tratto Anita si gira verso di me e mi dice di avere il cuore a 1000… un maschio si era appena affacciato a brevissima distanza da noi, giunto come un fantasma nel silenzio più totale! Su quel lato le fronde dell’albero sotto cui ci siamo nascosti mi coprivano la vista, ma il cervo deve averci girato attorno perché dopo un paio di minuti l’ho visto sulla mia destra scendere in mezzo alle ramaglie.
Anita riesce a fare un unico scatto con impostazioni proibitive (6400 ISO a f/2.8), mentre io mi limito a godermi gli istanti di quel nostro primo emozionante incontro ravvicinato. Il click della fotocamera, dovuto al sollevamento dello specchio, purtroppo lo mette in allarme e con alcuni balzi in un attimo si allontana.
Finalmente la notte lascia spazio al giorno. Siamo posizionati in un punto con visibilità abbastanza limitata, ma i sentieri tracciati dagli animali sono ben visibili; se uno di loro dovesse arrivare seguendo quei percorsi avremmo una splendida ambientazione per i nostri scatti. Ad un certo punto, proprio in quella direzione, sentiamo un cervo bramire; poi ancora e ancora… sempre più vicino! Se la fortuna ci assiste arriverà proprio davanti a noi, nel punto dove lo stiamo aspettando.
Si sente il rumore di rami spezzati a terra, poi ecco spuntare le corna; riusciamo a contarne le punte, sono otto. Il cervo però non si vuole far vedere nella sua interezza e ci aggira seguendo una depressione del terreno fino a fermarsi dietro ad alcuni rami a pochi metri da noi. Dopo circa un minuto riprende il suo cammino e ci passa accanto e mettendo un forte e profondo bramito. Un’emozione indescrivibile!
Insieme a lui anche una femmina con cui ha trascorso parecchi minuti (quasi mezz’ora in realtà) all’interno della radura, incurante della nostra presenza. Nonostante non fossero inquadrabili non abbiamo abbandonato la nostra postazione, anche per paura di recare disturbo agli animali.
L’ora del bramito si era conclusa ed i richiami dei cervi hanno lasciato spazio ai rumori provenienti dal paese vicino ed al rombo di auto e moto che transitano sulla strada per il passo dello Stelvio. Anita ed io abbiamo quindi deciso di fare una pausa e fare un piccolo giro esplorativo della zona, con l’intenzione però di tornare alla radura e tentare un nuovo appostamento nel pomeriggio.
Nella nostra camminata abbiamo potuto apprezzare la bellezza di quei boschi ricchi di fauna selvatica… molto diversi da quelli che frequento di solito che, al contrario sono spesso intaccati, a volte profondamente, dalla mano dell’uomo.
Dopo mezzogiorno rientriamo alla “nostra” radura cercando, con il favore della luce del giorno, una posizione che ci permetta di avere una vista il più ampia possibile sull’area prescelta. Il tempo di mangiare un panino e ci rimettiamo sotto i teli, a ridosso (quasi inglobati, per la verità) delle radici di un albero caduto. L’attesa ricomincia… la speranza è che i cervi ritornino a visitare la radura nel pomeriggio prima di recarsi nei prati sottostanti per il pasto notturno.
Un’attesa questa volta lunga ed a tratti snervante; dopotutto sono già parecchie ore che siamo lì e non abbiamo ancora ottenuto i risultati sperati. Teniamo costantemente d’occhio i margini della radura, sperando di scorgere qualche animale. D’un tratto vedo tra i rami di un albero una figura che si muove furtiva… capisco subito di cosa si tratta: una volpe! Guarda nella nostra direzione (siamo visibili perché non completamente coperti dai teli) per oltre mezzo minuto, poi torna nel fitto del bosco. E si ritorna ad aspettare…
Passano le 16, le 17, le 18… la luce comincia a calare, i tempi di scatto si allungano e le speranze di portare a casa un risultato calano in maniera impietosa; comincia anche a scendere una leggera pioggerellina. Ancora 1/4 d’ora e decidiamo, a malincuore, che è giunto il momento di rientrare, prima che faccia completamente buio.
Ci alziamo, riponiamo l’attrezzatura, e dirigendoci verso il sentiero sentiamo “abbaiare”. Sembrerebbe una femmina di capriolo, probabilmente allarmata dalla nostra presenza fino a quel momento passata inosservata. E poco dopo, più in alto, riecco il bramito di un cervo maschio. Ma la sera è calata, le figure nel bosco sono poco più che semplici ombre. E’ il momento di lasciare che la natura faccia il suo corso al riparo dai nostri sguardi indiscreti.
Dopo più di 10 ore di appostamento, doloranti ma comunque felici per l’emozionante giornata, torniamo a passo spedito verso l’auto. Si è fatto buio. Il bramito per quest’anno è finito. Abbiamo fatto esperienza… speriamo di poterla mettere in pratica il prossimo anno!
Fantasmi nel buio
Ore 4.00 del mattino di mercoledì, la sveglia suona e in meno di 20 minuti sono pronto: zaino fotografico, vestiario mimetico, impermeabile. Fuori pioviggina, ma l’appuntamento è troppo importante per rinunciare. Scendo e nel parcheggio c’è Anita con il suo Vito Marco Polo ad attendermi… si parte alla volta della Val Venosta.
Nonostante non ci sia traffico impieghiamo circa 1 ora e mezza ad arrivare a Trafoi, lungo la strada che porta al Passo dello Stelvio all’interno dell’omonimo parco nazionale.
Sono quasi le 6 del mattino… Anita spegne il furgone, apriamo i finestrini ed in silenzio rimaniamo qualche minuto ad ascoltare. Intorno a noi è tutto completamente buio ad eccezione delle luci del paesino e della chiesa che si trova poche decine di metri più avanti. Indossiamo gli scarponi, l’impermeabile, prepariamo l’attrezzatura e silenziosamente ci incamminiamo verso NaturaTrafoi, il centro visite in questa zona del parco.
Mentre percorriamo quel breve tratto di strada si cominciano a sentire le prime grida. Per me è in assoluto la prima volta e non vi è dubbio che se non sapessi di cosa si tratta sarei portato a pensare che sia il lamento di fantasmi che si aggirano nel buio della notte. Sono vicine, molto vicine, ben più di quanto mi aspettassi. La pioggia, che nel frattempo è arrivata anche qui, e la mancanza della luna per il cielo coperto contribuiscono a creare un’atmosfera ancora più spettrale.
Siamo alle porte del centro visite dove ci attende la guida Kurt che poco prima abbiamo visto arrivare con la sua auto. Nella penombra non riesco a distinguere i suoi tratti somatici per via del cappello verde che indossa per ripararsi dalla pioggia; l’unica cosa che riesco a percepire bene sono le mani segnate da anni di lavoro che reggono la prima di molte altre sigarette che fumerà durante il resto della mattinata. Mi presento sottovoce, Anita lo saluta (si sono già conosciuti la settimana prima) ed insieme prestiamo attenzione ai suoni che provengono dal prato… emozionante!
Ci spostiamo dall’altro lato dell’edificio. Kurt estrae un tubo di plastica a forma di cono e con nostra sorpresa inizia ad emettere gli stessi suoni che provengono dal prato. In men che non si dica si instaura un vero e proprio dialogo tra lui ed uno dei maschi dominanti che lentamente si avvicina a noi. Riusciamo quasi a scorgerlo nel buio, ma in breve si allontana e scende al fiume per risalire il pendio lungo il versante opposto, probabilmente seguito dalle femmine.
Questa è la mia primissima esperienza con il bramito del cervo e, nonostante non sia ovviamente riuscito a scattare nessuna foto in quei pochi minuti, non posso descrivere l’emozione che si prova nel sentire quel richiamo profondo che rieccheggia nel bosco.
La luce del giorno comincia a rischiarare il paesaggio nonostante il cielo plumbeo. Le cime del gruppo dell’Ortles sono parzialmente innevate con le nubi che ne lambiscono le pareti. Intorno a noi è calato il silenzio: i pochi suoni che si sentono sono lo scorrere del torrente ed i primi rumori del paese che si risveglia. Non si riesce ancora bene a distinguere il versante opposto della stretta valle, ma i cervi devono essere lì!
Passa ancora del tempo e finalmente la luce rischiara la vista. Osserviamo con attenzione la mugheta di fronte a noi e vediamo spuntare tra gli alberi spunta una prima femmina di cervo. Poco dopo ne individuiamo altre due ed un giovane. Pascolano lì, di fronte a noi seppur a debita distanza, ma stranamente non si vede nessun maschio; forse controlla il suo harem nascosto dietro ad un larice.
Sono quasi le 8 quando un bel maschio robusto si vede comparire brevemente sopra ad un costone. Sparisce quindi tra gli alberi e riappare poi di fronte a noi fermandosi con lo sguardo rivolto nella nostra direzione. Bellissimo!
Si fa ammirare per pochi secondi per poi sparire di nuovo; Anita riesce a scattargli qualche bella foto, mentre io mi mangerò le mani poco dopo perché la mia Canon 7D a 800 ISO non mi consente di avere la qualità di cui avrei bisogno. Senza contare peraltro che a questa sensibilità ISO e con un diaframma aperto a f/4 i tempi sono appena di 1/40″.
Una femmina si affaccia su di una piccola radura poco più a destra… sarà seguita dal maschio? Guardiamo bene attraverso i nostri obiettivi e scorgiamo il palco (o il “trofeo”, come lo chiama Kurt) tra i rami di un albero… eccolo di nuovo. Finalmente riesco a fotografarlo anch’io anche se sembra si diverta a giocare a nascondino.
Il concerto riprende e nuovamente la voce dei grossi maschi dominanti riempie l’aria.
Rimaniamo a Trafoi fino alle 11; Kurt, la guida, è sempre lì a farci compagnia e dimostra il suo incrollabile entusiamo nonostante possa godere di questo spettacolo della natura da moltissimi anni. «Porzelana!», esclama ripetutamente, «Quello è l’8! Ma dove è il 12?» (riferendosi alle punte del palco). E nel frattempo risponde a tutte le nostre domande sulle abitudini dei cervi, sulle loro caratteristiche fisiche, sul modo di avvicinarli, raccontandoci anche alcuni aneddoti di esperienze da lui vissute nel periodo del bramito.
Tirando le somme, al termine della mattinata (quasi sempre accompagnata da una leggera pioggerellina) avevamo visto con buona probabilità tutti i maschi presenti nella zona: 4 o 5, di cui uno molto giovane ancora al di fuori della giostra degli amori ma anche il tanto sospirato “12 punte” che si è fatto vedere proprio quando stavamo per andare via.
Esperienza bellissima, ma la speranza ora è quella di riuscire a fotografarli più da vicino allo stato selvatico (a differenza di molti scatti che, ci conferma lo stesso Kurt, sono fatti nei recinti). Il tempo del bramito si è quasi concluso… nel fine settimana faremo un ultimo tentativo, altrimenti l’appuntamento sarà rimandato al prossimo anno, magari con un pochino di esperienza in più.